Riccardo Visintin (RV): Allora, si dice che il teatro è fatto di corsi e di ricorsi, in questo caso abbiamo incontrato un paio di anni fa per la prima volta (vedi intervista) e con grande piacere Sebastiano Lo Monaco, e questa è la seconda volta che lo incontriamo.
Allora la domanda, la prima domanda scontata è: cosa è successo in questi due anni? … poi parliamo di Trieste.
Sebastiano Lo Monaco (SLM): In questi due anni siamo andati ancora in giro con lo spettacolo che avevate visto voi, “Cyrano De Bergerac”, che ha fatto duecentocinquanta repliche in giro per l’Italia, sempre con quello stesso successo che voi conoscevate, e poi siamo a quasi duecento repliche di “Enrico IV”, ed ancora ne faremo.
Insomma abbiamo questo destino che ci insegue di fare spettacoli di successo, non riusciamo a fare, a commissionare un fiasco, è una cosa proprio incredibile.
RV: Allora, Sebastiano Lo Monaco è conosciuto oltre che per il suo talento — e in questo spettacolo ne spende molto, anche a livello di energia fisica, oltre che attoriale — ma è conosciuto anche per la sua simpatia, per la sua espansività.
Io parto da questo: ero presente alla “prima”, che è stata un grande successo, e faccio un’osservazione che con Sebastiano avevamo già fatto ai tempi del “Cyrano”, cioè che il fascino di Sebastiano Lo Monaco sta anche nella capacità di infrangere le “regole teatrali”, per cui dopo lo spettacolo il pubblico applaude e vanno tutti a casa?… no, con Sebastiano Lo Monaco c’è stato — e credo sia ripetuto anche nelle sere successive — un “dopo — spettacolo”.
Questo è molto bello: tu martedì hai ringraziato il pubblico, hai fatto un paio di salaci battute politiche, ed il pubblico ha risposto ancora di più. Questo fa parte del tuo modo di fare teatro?
SLM: Guarda, fa parte in qualche occasione, non sempre, non lo faccio sempre perché mi annoierei io stesso a farlo, però ci sono delle serate o delle città particolarmente magiche dove si crea una tale armonia, una tale simbiosi, un tale clima tra il pubblico ed il palcoscenico , che per me… Io ritengo bello, giusto, santo, riconoscere al pubblico qualche volta la sua qualità di “essere pubblico”, il suo sapere fare il pubblico: oggi non sempre il pubblico sa fare il pubblico, spesso il pubblico sa fare solo il “cafone”, a teatro.E’ un’epoca in cui abbiamo visto la Coca Cola, le lattine di Coca Cola stapparsi in teatro, i pop corn, non parliamo dei telefonini che è normale, ma non è tanto il telefonino dimenticato, il telefonino casuale, è quello che trova normale rispondere. Abbassa la voce, crede di essere educato perché abbassa la voce, risponde, si mette d’accordo per la cena con la moglie.
Io qualche volta mi fermo e dico: “A casa tutto a posto? Il bambino, la febbre come va”.. eccetera.
Allora trovare una città come Trieste… dico la verità, e non è retorica (la vostra cultura è mittleuropea, eccetera), anche se per altri versi Trieste può essere ritenuta anche una città rigorosa, un pochino fredda. Il triestino non è espansivo come per esempio il veneto, che è un po’ più caciarone, un po’ più aperto, è molto più terrone il veneto che il siciliano, perché il siciliano è un inglese capitato per caso in Sicilia. Il siciliano è cupo, il siciliano è tragico, il siciliano gentile, eccetera, retoricamente caloroso è come dire… è favola, è anedottica, ma non è realtà. E allora qualche volta il triestino può essere rigoroso e rigido, ma a teatro no, a teatro sono perfetti. Educatissimi durante lo spettacolo, non si sente una tosse tranne che non sia un caso raro proprio di una patologia che quel povero disgraziato non può farne a meno…
Per dirti, ieri ce n’era uno solo, che aveva una tosse irrefrenabile, e la unicità testimonia la veridicità della cosa.
Le tossi in teatro, quando diventano un coro, sono tossi di rifiuto dello spettacolo, sono tossi sintomatiche di una noia espansa.
Allora mi è parso giusto riconoscere al pubblico questa sua qualità di saper fare “il pubblico”.
RV: Senti, Sebastiano, un testo come “Enrico IV” — è un piacere parlarne ed è bene che ne parliamo pienamente — è importante, Gassman direbbe “tosto”…
SLM: Ma come fai a conoscere così bene… Gassman è venuto a vedermi una volta a teatro, e facevo “Hystrio” di Mario Luzi, insieme a Paola Borboni.
Era la primissima edizione — anzi non è stato più messo in scena dopo — di un testo che era stato scritto da Mario Luzi pensando a Gassman, invece Gassman non l’ha fatto e l’ho fatto io.
Credo che Gassman si ritenesse un pochino grande d’età per interpretare questo attore ancora nel pieno delle sue forze, e in camerino mi disse: “Sebastiano, il testo era tosto, ma hai vinto, bravo, bravo…” e tu…
RV: Ho studiato, ho studiato…
SLM: Un testo così può essere ritenuto come dire, “tosto”, “Enrico IV”… ma “Enrico IV” ….
(interruzione per l’ingresso in camerino del direttore di sala, ndr)
Questo è il momento in cui il direttore di scena ci comunica che dovremmo abbandonare la vita terrena ed entrare in questo clima mistico dell’immedesimazione.
“Enrico IV” è una chiave di svolta del teatro del Novecento, è il passaggio tra la tragedia e l’impossibilità della tragedia.
E’ uno dei testi più moderni della storia del teatro, Pirandello è ancora un autore credo insuperato per modernità, oggi Pirandello parla — anzi oggi più che allora — all’uomo contemporaneo.
Oggi secondo me Pirandello è un autore “pop”, nel senso migliore della parola, cioè popolare, e popolare perché è compreso finalmente: come i Beatles sono stati compresi, come i Rolling Stones sono stati compresi, Pirandello è stato compreso. Pirandello nella sua epoca non era compreso come oggi, perché parlava di cose talmente “avanti”… Tutto il teatro di Pirandello è intriso di psicanalisi, e di un attentissimo studio della psico-somatizzazione dei personaggi.
E allora erano argomenti che Pirandello orecchiava o forse insomma sentiva, nasceva la psicanalisi di Freud, eccetera, eccetera.
Oggi la psicanalisi è una cultura molto diffusa, e allora quello che per i contemporanei di Pirandello era un mattone, un pugno allo stomaco, oggi invece è nell’aria da circa un secolo.
Per cui tutta la sintomatologia e la patologia dei personaggi pirandelliani , le loro menti e le anime disturbate e malate, sono praticamente all’ordine del giorno.
La depressione, che oggi è una malattia più comune del raffreddore, (si usano più psicofarmaci che aspirine, nelle nostre famiglie) eh be’… Pirandello ne ha parlato nei primi anni del secolo scorso.
Oggi l’uomo contemporaneo percepisce Pirandello come uno che lo descrive, che descrive l’uomo contemporaneo.
Si riconosce in palcoscenico, oggi si riconosce, si accetta o si rifiuta ma insomma “si incontra”.
RV: Sebastiano è veramente tardi. Non c’è due senza tre, buon proseguimento con questo “Enrico IV”. Vuoi dire qualcosa in conclusione, così…
SLM: Non c’è due senza tre lo trovo un bellissimo augurio, qui siamo in presenza di un organo importante del Teatro Stabile del Friuli- Venezia Giulia…
RV: … che non sono io…
SLM: … che ha sede a Trieste, che è Ilaria Lucari, e quindi alla presenza di un testimone io voglio tornare a Trieste per fare… “non c’è due senza tre”, “Uno sguardo dal ponte” di Arthur Miller, che è già, come dire… in “facimento”, in fieri, con una importantissima regia di Giuseppe Patroni Griffi, con una costruzione scenografica fuori dalla grazia di Dio, avremo un pilone del Ponte di Brooklyn veramente costruito in palcoscenico.
No, non è che abbiamo smontato quello, lo ricostruiamo, ma alto otto metri, un ponte praticabile, insomma una Compagnia bellissima, ci sarà vicino a me Marina Biondi che è prima attrice nell’ “Enrico IV”, ed è stata prima attrice nel “Cyrano de Bergerac”, e sarà mia moglie nello “Sguardo dal ponte”.
Stiamo un po’ ripetendo quella che molto molto più prestigiosamente di noi fu la Compagnia Morelli — Stoppa.
Io e Marina stiamo facendo una coppia che funzionicchia…
RV: Grazie Sebastiano.
SLM: Grazie, grazie a voi.