“La storia dell’opera lirica si divide in due parti: il prima e il dopo Callas.” Così ha detto Franco Zeffirelli qualche anno fa parlando del soprano per eccellenza, “la Maria” dei teatri e del jet set internazionali, la sua amica e compagna di lavoro per lungo tempo. La considerazione non diventa solo un omaggio incondizionato al mito Callas da parte di un fan d’eccezione, è proprio l’attestazione del valore e dell’innovazione che la cantante ha portato nella scena operistica, sul piano dell’interpretazione ma anche nella riscoperta di capolavori musicali dimenticati o accantonati perché di difficile esecuzione. Di Maria Callas si parla adesso con rinnovato interesse, ricorrendo nel 2002 i venticinque anni dalla morte, ed essendo recente l’uscita del film “Callas Forever”, diretto proprio da Zeffirelli.
Perché questa donna suscitò tanta ammirazione e tanto odio? Perché ancora oggi si favoleggia sul suo personaggio, la si chiama “divina”, la si considera “la voce del XX secolo”? Le ragioni a mio avviso sono fondamentalmente due. Maria Callas era dotata di uno strumento vocale straordinario che, perfezionato da studi approfonditi e da un infaticabile lavoro, le permise di raggiungere vette inviolate di arte musicale per diversi anni e poi, in conseguenza dello sforzo eccessivo esercitato, l’abbandonò progressivamente, svuotandole così l’anima. L’altro fattore riguarda la sua vita, intensa e drammatica come una tragedia greca, in cui successo, amore, trionfi, cadute si alternano in una spirale vertiginosa.
Maria Kalogeropoulos, nata a New York nel 1923 da genitori greci, non ebbe un’infanzia facile, condizionata da una madre ostile che prediligeva la sorella maggiore. Tornata in Grecia da ragazzina, cominciò a studiare canto e prese parte ai primi spettacoli. La svolta avvenne però in Italia, la patria dell’opera, nel ’47: debuttò all’Arena di Verona con “La Gioconda” di Ponchielli e la sua voce fu trasmessa via radio in tutto il paese. A Verona conosce tre persone che segneranno la sua vita: il maestro Serafin che la dirigerà innumerevoli volte e ne curerà l’impostazione vocale, il ricco industriale Meneghini che diventerà suo marito e manager, e la soprano Renata Tebaldi, futura storica rivale della Callas. Inizia una delle carriere artistiche più strepitose mai documentate: per lei che veniva dalla fame e dalla miseria della seconda guerra mondiale salire a inauditi livelli di successo e benessere è la parabola estrema di dove possano portare la fiducia in se stessi e una ferrea volontà. “Dio mi ha dato un successo anche superiore a quello che io stessa speravo”, disse una volta.
Ma quel successo dovette conquistarselo a fatica. Dopo il debutto i suoi studi si intensificano ma permane una grande difficoltà a trovare ingaggi. Finalmente La Fenice di Venezia la chiama come sostituta per “Tristano e Isotta”: l’incontro con il genio di Wagner dà subito i suoi frutti. La stampa e i critici le attribuiscono una sensibilità musicale non comune, una singolare intelligenza interpretativa e le riconoscono “una splendida voce, tutta timbro e calore, uguale e unita in ogni estensione del registro”. Nel’48 gli esordi con Verdi sono forse meno esaltanti per lei che, essendo una rivoluzionaria dell’opera, si allontana dalle attese popolari: scardina quel repertorio di bel canto tipicamente italiano. Ma studia e si applica in maniera ossessiva. Non è leggenda il fatto che, essendo molto miope ma troppo vanitosa per portare gli occhiali, imparasse in pochi giorni a memoria tutta l’opera da interpretare, così da arrivare alle prove conoscendo già anche le parti non sue e quelle strumentali e poter fare a meno di vedere i movimenti del direttore d’orchestra.
Qualcosa che le appartiene da subito è la capacità intuitiva di stilizzare i personaggi che affronta: mimica, gesto, passo sono sempre azzeccati e seguono gli intenti e le indicazioni dei compositori. E il suo genio artistico si rivelava nelle situazioni più delicate, quando ad esempio cantò “La Valchiria” e “I Puritani”, due opere diversissime, a giorni alterni, con una sola settimana di tempo per studiare. Dal ’49 alcune sue interpretazioni cominciano a venire registrate e la sua voce è documentata su dischi. In quell’anno Maria si sposa con Meneghini che per dieci anni sarà anche il suo manager. Di quel periodo è anche l’incontro con Visconti e Zeffirelli, due registi fondamentali nella sua vita, che rimangono folgorati dalla sua voce, malgrado lei sia ancora sgraziata ed enorme, l’abbigliamento inadeguato e i modi rozzi e matronali.
La collaborazione tra la Callas e Visconti segna proprio un momento di rottura nell’opera lirica. Fino ad allora erano stati pochi i grandi registi teatrali che si erano accostati all’opera dal momento che si trattava di un mondo dominato dai valori della musica e della voce. Era il direttore d’orchestra a insegnare qualche movimento ai cantanti, che in genere si mantenevano goffi e statici. La presenza scenica della Callas, la sua volontà di presentare sempre personaggi completi, stimolano invece la creatività di Visconti e insieme i due offrono al pubblico della Scala spettacoli unici e irripetibili. Per una rappresentazione scenica de “La Vestale”, ad esempio, viene ampliato il palcoscenico (con lavori costosi) per permettere l’entrata di centinaia di comparse. In altre opere Visconti fa portare da casa i suoi servizi di piatti e di posateria per avvicinarsi il più possibile all’idea artistica del suo genio. La professionalità di Maria viene ricordata così dal regista: “Io ho lavorato anni e anni con attori di teatro, con attori di cinema, con ballerini, con cantanti, e devo dire che forse la Maria è l’elemento più disciplinato che mi sia mai capitato fra le mani”. La loro stretta amicizia, così assoluta e necessaria per entrambi, si trasformò per la Callas addirittura in amore, un amore che rimase platonico.
Maria fu determinante anche per il lancio di Zeffirelli, allora scenografo, come regista. La gelosia dell’onnipotente Visconti tentava di intralciare gli sviluppi della carriera di Zeffirelli, da lui protetto e favorito. La Callas scelse il fiorentino come regista di alcuni suoi lavori e lo sostenne con stima e affetto.
Nel 1950 finalmente Maria Callas riesce a cantare alla Scala. Deve sostituire Renata Tebaldi nell'”Aida”. I consensi all’inizio sono tiepidi, troppo diverso il suo canto da quello della Tebaldi, tradizionale, semplice e luminoso. Il pubblico milanese si spaccherà letteralmente in due e parteggerà per una soprano o per l’altra: le manifestazioni popolari di assenso e dissenso di allora sono ben note a tutti e contribuiranno ad ingigantire il mito Callas. Quella volta alla Scala Maria incontra il maestro Toscanini, che la sosterrà sempre, e la figlia Wally, che diventa presto sua grande amica. Ammirazione e affetto le vengono anche da Del Monaco e Giancarlo Menotti.
Forse suscita meraviglia ma arrivare alla Scala non fu facile per la Callas. Gli interessi e gli equilibri tra i teatri italiani erano complessi e delicati. Quando la personalità e il prestigio di Maria giunsero all’apice, La Scala e il suo soprintendente Ghiringhelli dovettero capitolare. Nel teatro milanese la Callas sarà la regina per sette stagioni consecutive, raggiungendo nel ’54 l’apice del successo e del talento. Il perché sta anche nel drastico cambiamento d’immagine che attua in quel periodo. Vede il film “Vacanze romane” e conosce Audrey Hepburn. Appende una sua foto in camerino e s’impone di diventare come lei. Con la sua straordinaria e inumana forza di volontà dimagrisce (pesava più di un quintale) e assume una forma elegante e armoniosa. Si affida a sarti e stilisti e si trasforma nell’icona del palcoscenico, nella modella con l’ugola d’oro, nell’attrice vibrante, splendida e statuaria. Entrano nel mito le cene dopo l’opera nel centro di Milano, i vip, i fan, la stampa sempre intorno alla divina.
In quegli anni l’attività discografica della Callas è un’altra sua grande conquista. Incide molti dischi e si dedica all’aspetto documentale della sua carriera, anche se rimane tutt’oggi il rammarico di possedere solo poche e scadenti registrazioni del miglior periodo vocale di Maria. E non si ferma. Interpreta “Medea” stregando tutti come cantante e come attrice. Lavora alla Scala con von Karajan, “il più grande direttore del mondo” e insieme danno vita a un’entusiasmante “Lucia di Lammermoor” in cui Maria sfodera una notevole agilità di esecuzione, passando da uno stato d’animo all’altro. È apprezzata da critici e musicisti e ricorderà quella stagione ’53-54 come la migliore per lei alla Scala.
Inizia a girare i più prestigiosi teatri del mondo, quelli cioè che possono permettersi i suoi salatissimi cachet. È a Berlino, Vienna, Chicago con relativo scandalo legato al suo agente americano che tentò di truffarla e ricevette una sfuriata in teatro immortalata da una celebre foto che mostra tutta la rabbia furiosa della Callas racchiusa in un ghigno d’odio. Contribuisce alla rivalutazione di Rossini, Bellini e Donizetti e porta migliaia di giovani all’opera: la gran parte dei suoi ammiratori è infatti composta da giovanissimi che sono capaci di trascorrere la notte ai botteghini per ottenere un posto in piedi a teatro.
Incanta Londra e il direttore di “Opera” scrive di lei: “È un genio creativo di prim’ordine… poiché in lei la personalità e tutto il resto sono così potenti, finché è in scena alcuni di noi sono suoi schiavi, come non si verifica con alcun altro artista.” Viene fatta Commendatore dal presidente della repubblica italiana Gronchi: prima era toccato solo a un’altra cantante, Toti Dal Monte. Si moltiplicano i suoi proverbiali capricci e gli scandali. Nel’58 si rifiuta di cantare il secondo atto di “Norma” all’Opera di Roma, ufficialmente per problemi di salute, più probabilmente perché l’accoglienza del pubblico romano non la soddisfa. Tra i tanti vip presenti c’è la temibile giornalista americana Elsa Maxwell, che Maria riuscirà infine a conquistare sfruttando il suo fascino. Si esibisce anche all’Opéra di Parigi, per la prima volta, in un concerto di beneficenza che viene teletrasmesso in Eurovisione.
Le cose cambiano nel ’59. Durante una crociera conosce l’armatore greco Onassis e se ne innamora perdutamente. Sarà per Maria l’uomo della sua vita. Abbandona il marito e inizia a frequentare il jet set internazionale. Con Onassis forma una coppia brillante: poliglotti, famosi, ricchi, felici. Medita di ritirarsi dalle scene anche perché la voce ha cominciato a tradirla. A Dallas sospende le recite di “Lucia di Lammermoor” dopo che le manca una nota in scena e lascia il campo alla rivale Tebaldi.
Ma già nel ’60 abbandona sporadicamente il torpore della relazione con Onassis, ottuso e insensibile al suo genio artistico, e si produce in recital e concerti, fa la “Norma” all’anfiteatro di Erode Attico ad Atene. Ritorna a cantare alla Scala ma la sua voce è chiaramente cambiata: il pubblico è critico e ogni esibizione è una sfida. Il successo non manca, lei si rimette a studiare e affina il repertorio da mezzosoprano, incide molto. Comunque il livello vocale precedente è irraggiungibile, ha forzato troppo il suo strumento con interpretazioni eccezionali ed estenuanti e il fisico, non più robusto, non l’aiuta in questo recupero impossibile.
Nel ’63 lascia Milano per Parigi. Lascia la sua casa, gli amici e la Scala, dopo ben ventiquattro ruoli interpretati nell’arco di dodici anni. L’aspetta il Covent Garden di Londra: Zeffirelli riesce a riportarla a fare “Tosca” e lo spettacolo ha un enorme successo. Il regista è osannato come innovatore di testi e scene, il tenore Tito Gobbi è strepitoso e lei è grandissima: quando una sera la parrucca prende fuoco non se ne accorge nemmeno e prosegue l’opera mentre i colleghi atterriti la soccorrono. È un evento isterico, i flash dei fotografi illuminano continuamente la sala, la BBC riprende il secondo atto e si tratta di un documento prezioso: unico filmato completo di un’interpretazione della Callas.
Poco dopo Zeffirelli la porta a Parigi per la “Norma”: nell’ultimo atto le manca il do. Momento di gelo in teatro. La Callas, con coraggio, solleva il braccio e fa ripetere la scena. Il suo perfezionismo e il suo orgoglio non le permettono di subire passivamente una sconfitta a causa della voce. La seconda volta ha successo e scatena l’entusiasmo del pubblico, tra cui sono presenti numerosi artisti e politici internazionali, tutto il bel mondo che conta e che è da tempo ai suoi piedi.
Si cimenta anche con la “Carmen”, opera a lei ostica e che non aveva mai interpretato. Nel ’65 la registra e poi la porta al Metropolitan di New York dove bisogna aggiungere una data per venire incontro alle richieste popolari. Intanto il mercato dei suoi dischi raggiunge cifre esorbitanti: circolano le incisioni ufficiali della Callas insieme a vecchie registrazioni pirata ronzanti e ricercatissime. Diventa un mito in vita. E lei stessa prende coscienza di ciò quando riaffronta “Norma” all’Opéra ed è costretta a eliminare i do: la voce la tradisce e non risponde più come un tempo ma la folla è sempre in delirio, le lancia fiori sul palco ad ogni entrata e ogni qualvolta apre la bocca per cantare. Per sopperire alla carenza vocale si concentra ancora di più sulla recitazione e si rivela un’ottima attrice e un’artista intelligente. Ma lei che è una perfezionista ed è molto critica si rende conto di essere ormai un monumento a se stessa.
Sta male e interrompe una recita: è il luglio 1965 e a Londra appare in scena per l’ultima volta. Nessuno parla di ritiro ufficiale ma la Callas si limita a tenere concerti esclusivi per piccoli gruppi di ascoltatori selezionati (ad esempio la famiglia reale inglese). Con Onassis le cose non vanno bene, lui continua a trattarla come uno dei suoi preziosi trofei da esibire. Compra una casa nuova a Parigi e l’arreda in maniera bizzarra: la sala da bagno, dove riceve gli ospiti, è dotata di poltrone, telefono, giradischi, piante rampicanti e rubinetti d’oro. Per strapparla alla melanconia l’amico Zeffirelli le ripropone il progetto di un film. Già nel’58 avrebbe voluto immortalarla in “Traviata” per lasciare una testimonianza alle generazioni future e permettere a chiunque nel mondo di godere della Callas. Stavolta si pensa a “Tosca”: l’idea è quella di utilizzare una vecchia registrazione di quando la sua voce era al meglio su cui Maria avrebbe recitato in playback. Questa vicenda è proprio il centro del film “Callas Forever” che poi Zeffirelli ha sviluppato inventando un episodio sugli ultimi anni di vita della cantante. Maria è perplessa ma alla fine è Onassis a boicottare il progetto.
La vita con l’armatore greco è devastante per lei. Viene obbligata ad abortire nel ’67, subisce continue umiliazioni, solo gli amici le sono di sostegno. È malata anche fisicamente ma troppo orgogliosa per farlo notare. Nel’68 Onassis sposa per interesse Jackie Kennedy. Quel giorno stesso Maria partecipa a una festa: è bellissima, elegante, scherza e si diverte. Non vuole assolutamente dimostrare il suo strazio interiore.
Il cinema continua a inseguirla. Lei rifiuta “La Bibbia” di John Houston, poi nel ’69 le propongono di girare “Medea” diretta da Pasolini. I due non potrebbero essere più diversi: borghese, sofisticata, distaccata lei, trasgressivo, visionario e innovativo lui. Ma si piacciono subito e Maria proverà per Pasolini un altro amore impossibile dopo Visconti. Lei si fa docile sul set, allestito in Turchia e a Grado, e afferma: “Più Medea di così non sarò mai.” In effetti la maschera da matrona greca che è propria della Callas viene interpretata alla perfezione dal regista. Questa “Medea”, essenziale e intensa, ci regala emozioni incredibili e rimane l’unico film della Callas.
Nel 1970, all’inaugurazione della stagione alla Scala, interviene come ospite e il pubblico le riserva ovazioni assai maggiori di quelle rivolte ai protagonisti. Onassis è malato e la cerca. Lei non si nega. Accetta di tenere lezioni di canto negli Stati Uniti e viene pubblicato anche un libro didattico. Si applica nello studio e nel ’72 con l’amico Giuseppe Di Stefano dirige “I Vespri siciliani” al Teatro Regio di Torino. Accanto a lui ritrova un po’ di entusiasmo e quell’amore di cui ha sempre disperata necessità. Riprendono insieme l’attività concertistica ma sono entrambi sul viale del tramonto. A Sapporo nel ’74 il pubblico giapponese assiste all’ultimo concerto della Callas e all’ultima sua esibizione. È stanca e deve subire un’operazione all’ernia.
Maria si chiude nella solitudine della sua casa a Parigi. È sempre stata distante dalla società e dal mondo che non fosse il teatro. Nel ’68, allo scoppio dei moti di rivolta studentesca, spaventata dai disordini parigini e ignara di tutto, telefona alla sorella in Grecia chiedendole spiegazioni e aiuto. Ora vengono a mancare i più cari amici. Muore Pasolini, muore Visconti. Ma il colpo più duro è la morte di Onassis. La disperazione l’assale e Maria perde interesse nel canto, che abbandona definitivamente, e nella vita.
In un’intervista a “Life” dice: “Un uccellino felice canta, mentre uno infelice si ritira nel nido e muore”. Alla fraterna amica e collega Giulietta Simionato confessa: “Quando ho smesso di cantare, Maria ha cominciato a morire.”
Trascorre l’ultima estate della sua vita chiusa in casa con la sola compagnia dei servitori e dei suoi due barboncini. Prende sonniferi per dormire e pastiglie per tenersi su durante il giorno. Poi la sua forza di volontà, straordinariamente potente, compie l’ultimo atto e Maria si lascia morire.
Il 16 settembre 1977 la tragedia greca arriva al suo epilogo. Le ceneri vengono sparse nel Mar Egeo per suo espresso desiderio. Il segreto della grandezza di Maria Callas è stato, in definitiva, quello di sentire e intuire con genialità i ruoli operistici e, da musicista, di interpretare fino in fondo sia lo spartito che il personaggio. Della sua carriera disse: “Ho dato tutto quello che ho potuto. Avrei potuto dare di più, ma in quel momento non avevo più da dare. E difatti, se sento quello che ho fatto, stento a credere che ho fatto tanto.” Megalomane, eccessiva, tragica, perfezionista, unica, immortale…