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“Amour Amer” (“Amore Amaro”, pubblicato nel 2002) è il terzo album di Giovanni Wurzburger, spesso presentato come lo “chansonnier napoletano”, a indicare sia le radici partenopee sia il legame della sua musica con la Francia.

Il disco è prodotto dalla Sottosuono di Bari, etichetta indipendente che solitamente si occupa di contaminazioni tra musiche etniche, mentre in questo caso è evidente il tentativo di ampliare il raggio d’azione, seppur muovendosi in territori contigui. Queste ultime righe non sono semplicemente la doverosa nota informativa per la presentazione di un lavoro, forse costituiscono anche una traccia della filosofia wurzburgeriana, infatti il cantautore ha avuto modo di affermare — riferendosi al nome della sua label — che “l’idea di sotterraneità mi appartiene in qualche modo”; niente di più coerente se si getta uno sguardo sul suo percorso artistico, cominciato con i “Piazza Dante”, gruppo nato dalla contestazione sessantottina che si esibiva in “tutti i luoghi della contestazione napoletana”, come recita la biografia.

A tutt’oggi in “Amour Amer” è rimasto quello spirito anarchico che permette di sbeffeggiare e criticare il nostro ceto politico: Berlusconi in “Si aveto mon amì” (“Sei alto amico mio”, sorta de “Il re è nudo” aggiornato all’epoca del marketing politico), Sgarbi nella spassosissima “Vittorio”, Bassolino nella disillusa “Napoli non è”. Destra e sinistra dunque, ma senza essere qualunquista, bensì osservatore privilegiato dalla sua posizione ai confini di — termine inflazionato — “maudit”. Scherzando si potrebbe dire che non manca nemmeno la “politica estera”, con “In questo mondo di quark”, scritto anni fa, ma sempre attuale, perché parla della guerra in Iraq, oppure “Osama per gli amici Sasà”. A proposito di quest’ultima canzone Wurzburger ha detto: “Nessun uomo nasce assassino, sono le circostanze che le rendono tale”, e qui l’impostazione culturale del cantautore emerge con definitiva chiarezza, quasi spiazzandoci, perché abituati a considerare episodi come l’undici settembre da un’ottica pur sempre influenzata dal trauma mediatico di un evento che ha ampliato i confini di ciò che noi riteniamo reale o possibile.

L’impressione di ascoltare qualcosa di sincero e sentito è confermata anche dal fatto che Wurzburger è volutamente estraneo ai ritmi produttivi imposti dalle case discografiche a chi si deve guadagnare da vivere con la propria musica, tanto è vero che il suo lavoro ufficiale è quello di gestore di una vineria nella sua città natale. A prova di questa mentalità stanno le frequenti frecciate al mondo delle “major” presenti nelle sue dichiarazioni.

Giovanni Wurzburger — fotografia di Massimo VeloIn ogni caso, al di là di questi aspetti “ideologici” ci sono le malinconiche considerazioni sulla vita relazionale e affettiva, suggerite dalla scelta del titolo dell’album (“siamo incapaci di vivere un rapporto di coppia”, ha detto) e, soprattutto, c’è la musica, in qualche modo molto difficile da descrivere e analizzare, perché raccoglie diverse influenze, così ad esempio “Libération” ha parlato di eclettismo (una citazione dalla stampa francese, a sottolineare il successo ottenuto da Wurzburger in questo paese, tanto che, oltre a ripubblicare i suoi primi album, si preoccupa anche della traduzione dei testi). Nel corso della sua vita infatti Wurzburger ha vissuto e suonato a Londra e in Spagna, a cui si somma un’esperienza parigina, sempre incontrandosi e confrontandosi con musicisti dallo stile diverso dal suo. In “Amour Amer” si può trovare la canzone francese di “In questo mondo di quark”, i tributi a Buscaglione di “Voglia di te” e a De Andrè (viene ripresa la sua “Il giudice”), i suoni andalusi e latini del pezzo che dà il titolo all’album e, ovviamente, la canzone napoletana.

Alla sincerità dei testi corrisponde quella della musica: l’album è stato registrato a casa di Wurzburger, un palazzo di fine Ottocento in pieno centro storico, con lo scopo di ottenere la presa diretta dei suoni acustici e magari della stessa Napoli. Non c’è solo la chitarra, lo sguardo della critica si è concentrato benevolmente anche sulla collaborazione col violinista Lino Cannavacciuolo, ed era forse un fatto inevitabile: per convincersene è sufficiente infatti ascoltare l’assolo del musicista in questione in “Vecchio Blues”, oppure “Amour Amer”, dove la presenza del violino crea delle atmosfere che Wurzburger ha definito “irlandesi”. In tre brani si trova anche la fisarmonica di Luca Orciuolo, che ha fatto parlare qualcuno di atmosfere balcaniche: Irlanda e Balcani dunque, altri due luoghi che si aggiungono all’elenco di influenze, nel caso ci fosse qualche dubbio sulla smisurata quantità di ascolti che il disco necessita pur senza risultare pianificato a tavolino, come si è già detto.
Quello che è certo è che, se al momento dell’incisione dell’album la volontà era quella di ottenere immediatezza, si può immaginare che parte del fascino dell’artista probabilmente risiede nella dimensione live dei suoi pezzi, nel contatto col pubblico, nelle atmosfere di strada suggerite dalla sua biografia di nomade che suonava, ad esempio, nei pub di Portobello Road. La conferma bisognerebbe chiederla a chi ha potuto vederlo gratuitamente a Bari durante la presentazione dell’album.

Giovanni Wurzburger, Lino Cannavacciuolo (violino), Sasà Pelosi (basso) durante la recording session a casa Wurzburger

Fucine Mute, per gentile concessione della Sottosuono, permette ai suoi lettori di immergersi in queste atmosfere. Capita infatti che il mondo asettico dei personal computer possa assumere i colori del Mediterraneo, grazie alla sincerità e all’autenticità di Giovanni Wurzburger.