“Sono molto stanca, in Italia c’è una programmazione folle, molto fitta, fosse perché gli agenti teatrali non capiscono quanto sia impegnativa un’operetta, anche dal punto di vista propriamente fisico, tra il canto, i balletti e la recitazione è molto faticoso”.

È così che si presenta Daniela Mazzucato, scusandosi per il breve ritardo, ad un’ora dalla terza replica consecutiva dell’operetta “Ballo al Savoy”.
Attualmente sta preparando una “Vedova allegra” al teatro dell’opera di Roma e “Die Zauberfloete” al teatro lirico di Cagliari.

Ugo Maria Morosi, Francesco Grollo, Erla Kollaku e Daniela Mazzucato in una scena de Ballo al Savoy

Maria Fuchs (MF): Come ha iniziato?

Daniela Mazzucato (DM): Io ero molto timida, a dieci anni e mezzo mio padre mi ha convinto a cantare: mio nonno aveva una voce splendida, ma purtroppo è morto a soli 28 anni nella guerra in Spagna. Devo tutto a mio padre, gli sono grata per avermi indicato questa strada.

MF: Il rapporto tra recitazione e canto?

DM: Non facile, per il cantante che per la prima volta si cimenta nella recitazione: ci vuole molta voce, spesso bisogna recitare sopra la musica che l’orchestra esegue. Per me bisogna amare molto quello che si fa, io ho ascoltato tantissimi grandi attori e attrici di prosa, come la Innocenti, Sironi, la Morelli, ho imparato come “portare la voce”, come dire la battuta per aiutare il comico …ecc. Ma, ripeto, ci vuole tantissima passione, solo così riesci a cogliere certe sfumature.

MF: Lei ha lavorato con i grandi maestri come Giorgio Strehler (“L’amore delle tre melarance”) e Franco Zeffirelli, (“Un ballo in maschera”, vincitore di un Oscar): che cosa le hanno dato?

Girogio StrehlerDM: Sono grata a Giorgio, è stato lui a scoprirmi, in un ruolo di soubrette soprano, che lui stesso ha creato, estrapolando dei pezzi di operetta: è stato un lavoro faticoso, ma che mi ha dato molto. Strehler e Zeffirelli sono stati dei Maestri con grandissima personalità, con un potere naturale di capire cosa uno può dare, magari mettendoti davanti a delle sfide con te stesso, per poi scoprire delle caratteristiche che neanche tu conoscevi. Mi hanno messo alla prova: sanno trasformare una persona. Io ad esempio non avrei mai pensato di poter fare l’operetta “Scugnizza”, invece…

MF: Tra un replica e l’altra di “Vallo al Savoy”, vedra’ le altre operette di questo festival 2002 al teatro verdi di Trieste: “Scugnizza”, “Bulli e pupe” e “Cavallino bianco”?

DM: Sì, anche perché nel “Cavallino bianco” c’è mio marito, Max Renè Cosotti.

MF: Lei ha recitato spesso con Sandro Massimini, ci puo’ dare un ricordo di lui?

DM: Mi manca ancora molto, era senza pretese, gioioso, anche se alcuni dicevano che aveva un carattere difficile, invece aveva una grande umanità, era generoso e molto tenero, cosa che penso il pubblico abbia capito: lo ha amato tantissimo.
Lo ricordo in particolare nello spettacolo “Donna perduta”: interpretava il professorino Galileo, personaggio torinese, dimesso, timido, recitato con molta tenerezza e simpatia. Sa, le dirò, ancora adesso non riesco ad ascoltare le sue registrazioni perché mi commuovo sempre, spesso mio marito (Cosotti) durante i nostri viaggi vuole ascoltare il cd del concerto fatto insieme al San Carlo di Napoli alcuni anni fa: era stato un grande trionfo, ma io non ce la faccio e piango sempre

MF: Come si sono svolte le prove di questo allestimento “Ballo al Savoy”?

DM: Molto tranquillamente, in un bel clima.

MF: è la prima volta che ritorna al teatro Giuseppe Verdi di Trieste dopo i lavori di ristrutturazione, come le sembra e che cosa ne pensa dell’arrivo del maestro Daniel Oren?

DM: Le cose cambiano, cambiamo anche noi, bisogna rispettarle. A me piace molto Trieste che è una città stupenda con un pubblico veramente meraviglioso sempre pronto a divertirsi. Purtroppo negli altri teatri non succede, c’è un pubblico diffidente e prevenuto e ciò non va bene. Tornando alla sua domanda riguardante il maestro Oren, non penso che farà il sovrintendente, ma non ne voglio parlare”.

Ugo Maria Morosi e Daniela Mazzucato al centro del palco del Verdi

MF: Ho letto in una sua recente intervista, che non sarebbe mai andata a cantare in America, perche’, diceva, lì c’è il tempio del musical…

DM: Purtroppo qui non c’è mai stata una scuola seria per il musical o l’operetta, ora si sono accorti facendo quel patetico tentativo di “Saranno famosi”, insegnando a cantare, ballare e recitare tutto insieme, ma non è facile. Io ho avuto occasione di andare in America anni fa. Ti racconto come è andata: io allora abitavo a Venezia a Santa Giustina, e allora non avevo le fisime che ho adesso e cantavo lirica con le finestre aperte sul campiello, e ogni tanto qualcuno si fermava sotto le mie finestre per ascoltarmi. Un giorno si fermò un gruppo di americani che citofonarono a mio padre e lui, sempre molto aperto verso la gente, venne a sapere che era l’impresario dell’Alberghetti, una soprano che ha fatto un celebre film musicale: mi volevano portare in America… ma avevo solo 17 anni troppo presto, fosse capitato oggi…

MF: A proposito di Venezia, che cosa ne pensa dei turisti di oggi, un bene o un male per la sua città?

DM: Per l’economia certamente un bene, per la città di per se stessa un po’ meno, è brutto dirlo, ma una volta c’era più difficoltà per viaggiare, e allora c’era un turismo più elitario, oggi possono andarci tutti e abbiamo un turismo troppo scatenato.

MF: Lei è da tantissimi anni sui maggiori palcoscenici italiani e non, ma è sempre più giovane, ci dice qual è il suo segreto?

DM: L’anima!.

Studio per la scenografia de Ballo al Savoy