Christian Sinicco (CS): Sono con Michelangelo Coviello, autore che prima di questa serata mi era sconosciuto. Però ho sentito una sua bellissima poesia e gli ho domandato di essere presente a questa intervista. Qual è la tua esperienza in poesia, cosa hai fatto, cosa hai pubblicato, quali le tue collaborazioni, i tuoi maestri?
Michelangelo Coviello (MC): Direi maestri soprattutto americani, sono di cultura anglofona. Gli italiani non è che non mi piacessero, ma li ho sempre trovati un po’ retorici, accademici. Mi piaceva la strada, la vita vera, senza però rinunciare agli strumenti della cultura, che sono quelli che permettono di sopravvivere nella vita vera. Ho sempre trovato difficile questa coabitazione perché il poeta è generalmente un intellettuale, che però è anche accademico; è difficile trovare un intellettuale all’aria aperta che abbia vissuto la vita… Non dico la beat generation ma anche prima, persone come Pound, Eliot che faceva l’allenatore di baseball ed era un grande poeta. Quindi soprattutto il fascino di coniugare l’esperienza con lo studio. Per cui mi sono sempre occupato poco della mia carriera, perciò non mi conosci. La cosa più importante che fanno i poeti non è quella di scrivere poesie, ma occuparsi della propria carriera. A me non è mai interessato. Sono capitato per caso in questa antologia de Il ramo d’oro, perché ho conosciuto Paolo (Cervi Kervischer, ndr), che era amico di Milo De Angelis. Io con Milo sono un po’ cresciuto: da ragazzi frequentavamo l’università assieme, avevamo le stesse passioni. Lui più di cultura francese, io più di cultura americana e inglese. Però ci siamo sempre accompagnati nella vita. Poi, sì, ho pubblicato molto giovane da Feltrinelli il primo libro nel 1976, poi da Savelli, quando ancora esisteva la casa editrice, poi un altro libro da una casa editrice minore che si chiamava Corpo Dieci e che adesso non c’è più. Poi sono partito, ho vissuto un po’ in giro, a New York; ho fatto altre esperienze, ho cominciato a scrivere romanzi. Ho cercato di ampliare quelle che erano le mie possibilità. Non solo di vita ma anche di scrittura, perché certe volte la poesia ti va stretta. Hai bisogno di storia. Sono stato una decina di anni senza scrivere poesia e poi ho ripreso. Casualmente, rincontrando Milo De Angelis, mi ha offerto la possibilità di pubblicare un libro e quindi ho scritto questo libro di poesie un po’ su questa sua voglia di rivedermi a scrivere. Questo libro si chiama “Casting” ed è uscito per una casa Editrice che si chiama Niebo. Poi niente, continuo.
CS: La poesia americana ha lanciato moltissimi messaggi forti, tra cui uno che ritengo molto interessante, ma anche contrastante con la nostra tradizione: è quello di una poesia che muove molto di più dal parlato e più da una prosa. Cosa ne pensi del portare questa nuova esperienza nella poesia italiana?
MC: è vero, perché la loro è una cultura soprattutto pragmatica. Non esiste linguaggio alto e linguaggio basso negli Stati Uniti. Da noi invece esiste. Esiste un linguaggio accademico, un linguaggio poetico, un linguaggio dei letterati. Adesso per fortuna c’è uno spirito democratico anche nella lingua, per cui il poeta non è quello che scrive bene, ma che dice delle cose. Io non credo alla scrittura, non perché non creda all’esercizio di una abilità, non ci credo quando fa di se stessa il proprio contenuto. Mi interessa una scrittura che sia il più trasparente possibile dove è importante quello che si dice.
CS: Una poesia più votata al messaggio, piuttosto che al linguaggio?
MC: Non il messaggio, secondo me la poesia è più una conoscenza di sé. Quindi è un lavoro che ognuno di noi fa su quelli che sono i propri limiti, sulle esperienze, i nodi cruciali. Per cui ha a che fare con la parola, tutto questo ha a che fare con la parola. Ma è una parola che rimane tale: non arriva a essere una formalizzazione artigianale basata sull’abilità tecnica. Una parola che continua ad avere un saldo aggancio con la vita reale. Questo mi interessa.
CS: A questo proposito puoi rileggere la poesia che hai letto durante la presentazione che è l’esemplificazione della tua poetica?
MC: Hai circonciso il mio cuore, mi dice
non chiamare più a quest’ora, perché
sei la terra promessa, le dico
ho studiato tutta la notte le tavole
delle dieci parole, i comandamenti
ma in te non c’è amore mi dice
io non sono tutte le donne, urla
e non mi volto questa volta
portava la voce con le mani
anche i baci, e urlava ancora
hai bisogno di una donna per crescere
guardami il seno, i fianchi
voglio un figlio per dare pace
a tutta questa carne che tu impasti
ogni giorno, come fosse pane
stai ferma con le tette quando parli, le dico
al parco c’è un ragazzo che abbraccia
un altro ragazzo, gli tiene la testa
tra le mani, portando un bacio sulla bocca
spinge dentro la lingua mentre l’altro
gli mordicchia il labbro premuroso
io non dico niente, la natura non esiste.
Buongiorno,
vorrei chiederle il permesso di utilizzare un estratto dall’intervista..
Stò scrivendo un piccolo progetto video documentario su Michelangelo Coviello da presentare ad una piccola casa di produzione e vorrei affiancare a del materiale visivo pezzi di questa traccia audio.
Grazie mille,
Francesco Ferri
Caro Francesco, puoi utilizzare l’intervista o parti di essa citando me, il numero di Fucine Mute su cui è apparso ovviamente, il fatto che si è realizzato a margine della mostra di Paolo Cervi Kerwischer a Milano – penso tu troverai tutti i riferimenti di questa su FM o su pck.it. Il mio indirizzo è sinicco et gmail dot com