Abbiamo incontrato Huo Jianqui e Pan Yeming, rispettivamente regista e attore principale del film A Love of Blueness, una storia d’amore complicata e misteriosa, presentata alla quarta edizione del Far East Film Festival.
Martina Palaskov-Begov (MPB): La prima domanda è indirizzata al regista. Trovo che il suo modo di girare sia molto simile alla tecnica usata dai grandi maestri dell’est, come Waijda, Kieslowski, Kawalerovic, Bergman. Mi riferisco ai primi piani, al modo di predisporre le sequenze. A chi si è ispirato, se si è ispirato a qualcuno?
Huo Jianqui (HJ): Non mi sono ispirato a nessun cineasta europeo, anche se sono a conoscenza di tutte le tecniche cinematografiche usate in Europa. Quando giro un film, inconsciamente, faccio in modo che tutto sia combinato in modo adatto; le inquadrature, la musica.
MPB: Volevo inoltre saperne di più sulla sua formazione professionale. La scuola cinese e le tecniche usate sono state, e forse lo sono ancora in parte, influenzate dal metodo russo. Ciò accade ancora così spesso?
HJ: Prima della rivoluzione culturale cinese, ovvero prima del 1965, la situazione politica era molto chiara. Infatti la Cina e la Russia erano fortemente legate dalla matrice comunista, quindi anche la cultura venne inevitabilmente influenzata. Ricordo che nelle scuole di cinema si studiava molto la cinematografia russa e le pellicole a disposizione erano russe. La Cina, in quel periodo, era molto isolata, si era chiusa a qualsiasi tipo di influenza, specialmente europea e americana. Si trattava di una scelta precisa che non influenzò solamente il cinema, ma la drammaturgia in generale, la musica e il balletto. Oggi, la situazione è radicalmente cambiata. I giovani cineasti possono studiare e vedere materiale eterogeneo, proveniente da tutto il mondo; materiale francese, italiano e anche americano.
MPB: Volevo adesso rivolgere la stessa domanda all’attore Pan Yeming. Che tipo di formazione ha avuto, che tipo di metodo di recitazione usa e come ha lavorato con il regista al film A Love of Blueness: improvvisazione, sviluppo dalla sceneggiatura alla recitazione… ?
Pan Yeming (PY): Ho incominciato a recitare in modo amatoriale ancora quando andavo a scuola, si tratta di una sorta di amore profondo. Quando poi dovevo scegliere in che Università andare ho scelto la scuola di spettacolo Beijing, dove ho appreso molto del mondo della produzione cinematografica e televisiva. Mi sono laureato in Art Acting. Mi è capitato poi, quasi senza volere, di passare da dietro le quinte alla scena vera e propria. Il primo film che ho interpretato si chiama A Lingering Face (2000, di Lu Xuechang), poi ho lavorato con Huo. Lavorando a questo film, A Love of Blueness, mi sono molto divertito. I collaboratori con cui ho lavorato erano molto disponibili e gentili. Il regista mi ha dato molto spazio per sviluppare al meglio la psicologia del personaggio. Huo mi ha dato molte indicazioni su come interpretare il giovane poliziotto, ma senza essere troppo invadente, e non pretendeva un rispetto rigido della sceneggiatura. Per quanto riguarda il motivo che ci ha spinti a lavorare insieme, lascerò rispondere il regista.
HJ: Ho avuto non pochi problemi nel scegliere l’interprete principale. Ho visto molti attori, ho intervistato molti giovani e ho assistito a molti provini, ma nessuno dei ragazzi che avevo visto mi soddisfaceva per il ruolo del mio protagonista. Poi ho avuto la fortuna di incontrare il regista di A Lingering Face (Lu Xuechang) che mi parlato molto bene di Pan. All’epoca, ricordo che Pan non era nemmeno a Beijng, poiché stava lavorando a un progetto fuori città. Quando Pan venne a sapere che ero interessato a lui per il mio film, prese immediatamente un aereo e ritornò a Beijng per incontrarmi. Ho trovato che Pan era perfetto. Infatti quello che cercavo era una persona dal volto freddo e misterioso… da poliziotto, ma allo stesso tempo che avesse una coscienza artistica da rendere il personaggio un uomo vero, fatto di carne, con i dilemmi di un uomo moderno.
MPB: Rivolgo la domanda a entrambi: qual è il messaggio che il film vuole lanciare al pubblico? Mi riferisco alla concezione dell’Arte. All’inizio, quando vediamo la giovane donna recitare in teatro, lei afferma che l’Arte è divisa; ovvero non tutti possono creare Arte, si tratta di un gioco di ruoli. Tuttavia, alla fine del film, il messaggio cambia. I due si compensano artisticamente e anche se il giovane poliziotto non nasce per creare Arte, in qualche modo contribuisce allo sviluppo della dimensione artistica della donna e del film intero… un modo per dire “tutti possono fare Arte, non abbiate paura”?
HJ: Il film è un adattamento di un libro che si intitola Performance Art: il significato di questo tipo di Arte è da ricercare all’interno di un processo artistico molto particolare. Si tratta di un’arte che coinvolge anche il pubblico e che costringe tutti a dare il loro contributo allo spettacolo. Io ho cercato di usare questa forma artistica come metafora dell’esistenza umana. Se lei pensa, in fondo, tutti contribuiscono, nel loro piccolo, allo spettacolo della vita. Tutti i personaggi del mio film sono importanti da questo punto di vista, non soltanto i due protagonisti, ma anche la madre e il padre misterioso di lei, le loro professioni… tutti partecipano e recitano sul palcoscenico della vita. La vita è arte, in sostanza.
MPB: A che tipo di genere cinematografico fa capo il suo film: si tratta di un giallo, di una love story, di un thriller… ?
HJ: Una storia d’amore con un po’ di suspense. Non si tratta però di una normale, dolce, sentimentale storia d’amore. Nel mio film c’è anche molta amarezza, ci sono molti segreti.
MPB: Vorrei sapere che cosa ne pensate del Festival, se lo conoscevate già e se lo trovate utile per una promozione più ampia, soprattutto in Europa.
HJ: Credo che l’organizzazione sia grandiosa. Non sono mai stato al Festival di Udine prima, ma credo che il Festival, paragonato ad altri, anche a livello internazionale, sia unico. La manifestazione è infatti indirizzata a tutti. Chiunque può venire, vedere i film, incontrare i registi e farsi una cultura; non si tratta di un Festival elitario. L’atmosfera è molto rilassante. Inoltre il materiale che arriva dall’Asia è davvero tanto e variegato. Penso che il Festival sia molto utile non soltanto per noi registi, che, tra l’altro, veniamo trattati molto bene (abbiamo molta libertà all’interno della manifestazione). Non ci sono troppi appuntamenti, le persone sono gentili…
MPB: Ultima domanda. Prossimi progetti?
HJ: Ho appena finito di lavorare alla produzione di un film. Vedete, il film che ho portato a Udine, lo ho realizzato l’anno scorso. Quando torno in Cina lavorerò alla post-produzione del mio nuovo film.
PJ: Ho appena terminato di lavorare anch’io ad un progetto. Quando ritorno in Cina credo che lavorerò a un altro film.
MPB: Possiamo avere qualche anticipazione… il nome del regista?
PJ: Lavorerò a un film con un allievo di Huo. Ho accettato perché rispetto molto il lavoro di Huo, e ho pensato che sarebbe stato bello lavorare con un suo allievo. Ho molto fiducia nelle nuove generazioni di cineasti. Il film parla di un gruppo di ragazzi, delle loro relazioni interpersonali. Il titolo del film suona un qualcosa tipo Ricominciare.
HJ: Per quanto mi riguarda vorrei girare un film a Udine, una sorta di storia d’amore, la intitolerei Amore a Udine (ride). Sono rimasto veramente impressionato dalla città e vorrei sviluppare un progetto ambientato a Udine, o forse… a Venezia, una sorta di remake di Romeo e Giulietta (ride nuovamente).
Guardandola mi viene in mente il film Lola corre, forse farò un remake di quel film e chiamerò lei per il ruolo principale.
MPB: Grazie, troppo gentile.