Riccardo Visintin (RV): È un periodo in cui di musica italiana si parla molto, a proposito e a sproposito. C’è chi ascolta Sanremo e chi invece si dedica ad altre cose. È interessante riuscire a scambiare due parole con un complesso musicale, Le Orme, che ha contribuito pesantemente — nel senso positivo del termine — a costruire la musica italiana.
Le Orme, che tornano a Trieste con un concerto nuovo, ed un disco nuovo, e sono equamente divisi tra due presenze storiche, Aldo Tagliapietra e Michi Dei Rossi, che in questo momento è impegnato, poi ci saluterà, e le due presenze nuove, a cui do la prima battuta, e che invito ad autopresentarsi, e naturalmente a raccontarci cosa significa avere a che fare con Le Orme dal punto di vista emotivo…
Andrea Bassato (AB): Ciao, io sono Andrea Bassato e suono il pianoforte ed il violino.
Michele Bon (MB): Ciao, sono Michele Bon e suono l’organo e le tastiere.
RV: Sarebbe lunghissimo ricostruire tutta la storia del gruppo, perché in cinque minuti è un po’ difficile.
Senz’altro sono stati straordinari… Oggi parlavamo con dei colleghi giornalisti e tutti sentivamo un grande affetto nei confronti de Le Orme perché riuscivano a creare della musica bellissima, e poi sono usciti vecchi ricordi che si chiamano “Gioco di bimba”, che si chiamano “Uomo di pezza”, “Collage”, “Sguardo verso il cielo”… Pezzi creati senza avere — ed è da qui che vorrei partire — i grandi mezzi di cui altri gruppi stranieri già disponevano. Michi, tu che sei il creatore di una musica “casalinga”, oltre che essere assieme ad Aldo la presenza storica del gruppo: è vero che questi effetti si creavano in casa, in Veneto, proprio con mezzi artigianali? Che ricordo ne hai ?
MR: Be’, un bellissimo ricordo, mi ricordo il primo sintetizzatore che non era un sintetizzatore, ma era un modulatore — stiamo parlando del 1971 — che praticamente fu costruito da un tecnico di San Donà di Piave.
Non appena abbiamo sentito di questa cosa siamo partiti, per trovare a San Donà quel tecnico, un ragazzo giovane, che ci fece vedere il modulatore, che avremmo in seguito utilizzato in “Collage” al posto del mini-moog. Ricordi importanti, bellissimi, che ci hanno fatto andare avanti — e che ci fanno andare avanti tuttora, grazie anche al grande amore del pubblico. Quando invece adesso, sia i discografici sia i mass media — lo sai benissimo — non parlano più de Le Orme, non interessa più loro il progressivo, che ritengono musica vecchia, mentre in tutto il resto del mondo è una musica tanto seguita quanto importante.
Se siamo arrivati a realizzare i nostri ultimi dischi progressivi al massimo, specialmente quest’ultimo “Elementi”, è appunto perché abbiamo un seguito, perché i giovani, e non solo loro (che ultimamente seguono in massa i nostri concerti), ci danno questa carica, infondendoci un amore che noi naturalmente riversiamo nei dischi.
RV: Un giornalista dovrebbe astenersi dal parlare della propria esperienza personale, tuttavia io lo faccio lo stesso. Io ho conosciuto Le Orme tramite “Florian”, “Piccola rapsodia dell’ape”, quindi con dei dischi barocchi, o no?
MR: Gli strumenti sono barocchi, a parte le percussioni, perché io usavo delle percussioni che sono contemporanee.
All’interno sono presenti dei brani che potrebbero sembrare barocchi… ma ci sono anche dei brani riferiti a Stravinsky, Bathos, appartenenti di fatto ad un campo musicale completamente diverso. Diciamo che in “Florian” il violino ed il violoncello ti portano a quest’associazione, ma in mezzo c’è anche tanta musica diversa, mi riferisco soprattutto alle nostre ballate classiche.
RV: Ritornando alla mia esperienza personale: volevo dire che ho conosciuto Le Orme tramite “Florian” e “Piccola rapsodia dell’ape”, senza conoscerne il passato storico. Quando Le Orme si guardano indietro, e quindi rivivono un po’ le loro esperienze passate, c’è nostalgia, nostalgia anche per un modo di comportarsi tra musicisti e con musicisti che si dice oggi non ci sia più? Sentite la nostalgia per un periodo in cui non esistevano le multinazionali o comunque non avevano così importanza sul destino degli artisti, al punto da farvi ritenere che la vostra autonomia ed identità artistica la si debba mantenere ad ogni costo, guardando sempre avanti?
AT: Sicuramente guardare avanti e non legarsi mai a quello che è stato fatto in passato. È come dire “hai nostalgia della tua gioventù”, eh be’, certamente, però fa parte del gioco, bisogna saper vivere anche l’età di mezzo, oppure, anche se non è il nostro caso, la vecchiaia…
Sì, c’è un po’ di nostalgia per per quei tempi in cui le case discografiche erano un po’ più piccole, a dimensione più umana, diciamo… Adesso con l’avvento delle multinazionali tutto è diventato troppo business, tanto che anche noi attualmente abbiamo grosse difficoltà con questo tipo di case discografiche, mentre una volta il rapporto che con esse s’instaurava era proprio di tipo personale.
RV: Se mi posso permettere, Aldo, forse al giorno d’oggi non succedono più cose come quella che è diventata, specialmente tra i giovani, una sorta di leggenda metropolitana (nonostante si sappia dell’affascinante autenticità dell’episodio). Ovvero che Peter Hammill si sarebbe interessato a curare la versione inglese di “Felona e Sorona” dopo averlo ascoltato. Oggi questo è un po’ più difficile che accada…
Chiudiamo con il passato, altrimenti le nostalgie potrebbero veramente essere in agguato. Io ho assistito ad un concerto, un po’ di anni fa, che promuoveva il vostro disco antologico “1970-1980”. In seguito è uscito un bellissimo disco, con delle tematiche ispirate credo essenzialmente all’India, intitolato “Il fiume”. Il nuovo lavoro intitolato “Elementi”, Michi, com’è nato? Cosa ti preme dire in merito a questa nuova produzione de Le Orme?
MR: Mi preme dire soprattutto che è un disco fatto in libertà, è un disco libero, libero da qualsiasi cosa, cioè fatto tutti assieme, come si facevano i dischi una volta, come è giusto secondo me, come dovrebbe essere fatto un disco prodotto da un gruppo.
Nessuno è leader, tutti siamo leader e tutti siamo i camerieri, ognuno ha il suo compito, c’è molto rispetto, ognuno sa dove può arrivare l’altro e lo lascia fare, e il risultato è “Elementi”: è un lavoro che è nato parecchio tempo fa in embrione. Ci abbiamo provato addirittura un anno fa, quando abbiamo costruito la prima parte. Poi durante quattro mesi di lavoro — da ottobre a gennaio, proprio in quel periodo lì — abbiamo concluso un disco che ti ripeto, è stato pensato in tutta libertà e che a mio avviso è bellissimo. Giudicato da moltissima gente, anche internazionale, (così risulta nelle votazioni di una mailing list americana) come miglior disco di musica progressiva del 2001, e questo — cazzo — è molto importante, è una grande soddisfazione.
RV: Concludendo: uno spazio concesso fa Fucine Mute per una sana “vis” polemica sul Festival di Sanremo. Una battuta a testa, potete dire quello che volete…
AT: In una parola? Un baraccone!
MR: Bleah!
RV: Di persona si può vedere che Michi si è prodotto in una sua espressione non esattamente di pregio. Aldo, in una parola i testi di “Elementi”, che hai scritto tu…
AT: Diciamo una frase, per sintetizzare il tutto: si racconta dell’uomo che in qualche modo riscopre in sé l’intero universo, e si riconosce quale universo vivente.
RV: Sei stato lapidario… Grazie a Le Orme e buon proseguimento in tournée lungo tutto il corso di questa estate.
MR: Andiamo avanti fino ad ottobre, poi c’è in progetto un altro disco, speriamo che vada tutto in porto, e poi probabilmente ci sarà una puntatina al Festival Progressivo di Thiana, a Barcellona. Questo a giugno se tutto va bene, e poi appunto questo progetto di un prossimo disco, con la speranza di trovare una casa discografica…
RV: Un po’ più malleabile….
MR: No, diciamo con più soldi, di modo che si possa far sentire la nostra musica un po’ dappertutto…