Giunta felicemente al suo quarto anno di attività, la rassegna Film Makers, promossa dall’ A.G.I.S. e attivata da Mario De Luik, (nota per aver portato a Trieste numerosi protagonisti del cinema italiano e straniero da Bigas Luna a Giuseppe Piccioni, per fare solo due nomi), in occasione del film “L’ora di religione” (Il sorriso di mia madre), ha ospitato il regista Marco Bellocchio.Per Bellocchio è stato un piacevole ritorno a Trieste, dove era già venuto nel 1999 per la presentazione del film “La Balia”, svoltasi al cinema Ariston.All’interno del cinema Excelsior lo abbiamo avvicinato per porgli alcune domande.
Maria Fuchs (MF): Innanzi tutto come è sorta l’idea di fare questo film?Il soggetto è stato ispirato da un fatto reale o dalla sua fantasia?
Marco Bellocchio (MB): Questo film è nato da un’immagine: un bambino chiedeva per se stesso una maggiore solitudine, ma gli avevano detto che Dio è onnipresente e di conseguenza, che non c’è alcuno spazio per stare completamente da soli con la propria fantasia, e così da questa idea, da questa immagine che ho ricevuto, e mi ha emozionato, ha avuto origine questo film.
MF: Per cui la trama del film deriva da un fatto reale?
MB: Sì, assolutamente.
MF: Adesso che il film è uscito da qualche giorno, si può dire se è riuscito proprio come se lo immaginava, come lei voleva che venisse?
MB: Veramente io parto sempre dai dati reali, e quindi non mi immagino nulla. Io faccio un film, poi vedo come la gente reagisce, quindi dalle reazioni del pubblico replico a mia volta. Quello che io mi aspetto è ovviamente che lo si vada a vedere, che piaccia, e – perché no? — che abbia dei riconoscimenti, ma questo è normale, naturale.
MF: Possiamo dire allora che c’è un collegamento consequenziale tra i suoi vari film?
MB: Ci sono delle tematiche simili: il tocco, lo sguardo, lo stile che li accomunano, del resto sono sempre io che li faccio, e chi li guarda riconosce la stessa firma, anche se trattano argomenti diversi.
MF: Questo film parteciperà sicuramente al 55° Festival di Cannes. Verrà presentato anche al festival cinematografico di Venezia, come anticipano alcuni quotidiani?
MB: No, parteciperò solamente al festival di Cannes, inoltre è impossibile partecipare a tutti e due.
MF: Sentendo alcuni pareri di illustri esperti nel settore cinematografico, si è appreso che questo film, “L’ora di religione” è con tutta probabilità il migliore degli ultimi decenni. Il cinema dunque non é più in crisi?
MB: Ci sono ancora dei buoni film: il problema è che veniamo da un’epoca d’oro come il neorealismo. Poi, dopo gli anni sessanta, il cinema è andato in crisi dal punto di vista pratico: dei finanziamenti, del pubblico; sì, forse c’è ancora un po’ in crisi.
MF: Recentemente ha destato grande successo la fiction trasmessa su rai uno “Papa Giovanni”, da ciò si può forse dedurre che oggi ci sia maggior bisogno di religiosità, forse anche per controbattere la violenza che si sta diffondendo nella nostra società e purtroppo anche nel ristretto ambito familiare?La religione come antidoto alla violenza. È d’accordo?
MB: Bisogna combattere la violenza, ma non necessariamente con la religione, ognuno ha la sua strada. La fiction “Papa Giovanni” non l’ho vista e quindi non mi permetto di giudicare, ma da alcuni frammenti sembra una fiction molto geografica, descrive l’immagine del papa buono, non penso che il regista (Giorgio Capitani, n.d.r.), durante la lavorazione, si sia posto dei problemi artistici.
MF: Trieste è una città film commission. Essa potrebbe essere “protagonista”, come set naturale, di un suo prossimo film?
MB: Ah! non ci ho pensato, non lo sapevo, Trieste è una bellissima città, ma è troppo poco per ambientare un film, a mio parere ci deve essere una relazione stretta, importante tra la storia che si vuole raccontare e la città in cui si svolge, e in questo momento non ho un’idea precisa, non lo so…
MF: Ci dia due buoni motivi perché il pubblico (se non lo ha ancora fatto) deve venire a vedere il suo film “L’ora di religione”?
MB: Perché è un film, che credo riguardi tutti, tocchi dei problemi comuni anche se magari alcuni non se ne accorgono, ma il discorso sulla religione e quindi tra la vita e la morte che ci accompagna sempre, è il discorso di tutta l’educazione cattolica. Prevalentemente quindi il tema — e spero lo svolgimento — consiglierebbe a tutti di andarlo a vedere; poi siamo in libertà e ognuno naturalmente fa quello che vuole.
MF: Perché un laico, come lo è lei, parla così spesso di religione: non è un problema superato dal momento che non crede in Dio?
MB: Io non credo in Dio, ma tutti noi viviamo in una società che, per quanto incredula, è tuttavia non laica: tutti forse anche per scaramanzia, accettano la ritualità, e un po’ credono. Io ad esempio ho una figlia di sette anni che, dopo varie consulenze tra me e mia moglie, avevamo deciso di esonere dall’ora di religione. Tuttavia è stata proprio mia figlia ad insistere per essere iscritta all’ora di religione, altrimenti si sentiva in qualche modo emarginata, estranea a questa società.
Trama:
Ernesto (Sergio Castellitto) è un affermato pittore, illustratore di favole per bambini, separato dalla moglie Irene (Jacqueline Lustig), padre del piccolo Leonardo (Alberto Mondini) al quale è profondamente legato.apprende da un misterioso Don Pugni (Bruno Cariello), segretario dell’altrettanto enigmatico Cardinal Piumini (Maurizio Donadoni), che vogliono fare santa sua madre.
Ernesto resta colpito dalla notizia, non solo perché si rende conto di essere stato tenuto all’oscuro di tutto dalla famiglia, ma anche perché la vicenda contrasta con il suo mondo d’artista e di uomo libero e ateo.
In poche ore le pressioni e le iniziative affinché partecipi al processo di beatificazione si accentuano. I conflitti esplodono.Il ricordo della madre (del sorriso di sua madre) apre una vertigine che lo spinge a rielaborare il passato e a vivere diversamente il presente.
Questo film è stato censurato ai minori di anni 14 e dalle sale cinematografiche parrocchiali, anche se a mio parere il film non è violento, come si possa immaginare da alcune presentazioni che sono state fatte a riguardo di questo film, che racconta con molta poesia e dolcezza le amarezze di un uomo ormai adulti, con un figlio da crescere tutti i giorni, e lo stupore di passato familiare a lui ignoto.
Note di regia
È un film su cui non mi è naturale parlare di regia, di movimenti di macchina, di colore ispirato a questo o a quel pittore, o a nessuno, di montaggio, di musica, cioè di linguaggio, di stile, proprio perché lo stile in questo film viene “dopo”, “dopo” una prima immagine, una prima idea che ha messo in movimento tutta la storia.
Questa immagine è semplice (benché “assurda”, come la definisce il protagonista) da raccontare: un uomo normale, Ernesto Picciafuoco, pittore, riceve la visita di un sacerdote che gli comunica che è in corso il processo di beatificazione di sua madre…
Di questo processo lui non sa nulla e neanche ha mai sospettato nulla, nonostante sia stata intentata la causa da più di tre anni… La notizia lo sconvolge. Inoltre questa sensibilità, di non aver sentito, percepito la congiura in atto e il tentativo, poi scoperto di convertirlo, con l’aggravante che Ernesto è un artista, lo getta nella depressione… o piuttosto svela una depressione già latente…
Ernesto non si sopporta più, non tollera più quel fondo ancora di cinismo, quel tanto di anaffettività che lo fa assomigliare a sua madre, morta tragicamente tanti anni prima… di cui ha conservato lo stesso sorriso “mortale”, che Ernesto, sempre inutilmente, ha cercato di strapparsi dalla faccia… (per molto tempo sono stato indeciso tra il titolo che ha prevalso, L’ora di religione, e un altro titolo, appunto Il sorriso di mia madre…)
Quest’uomo laico, lontano dalla religione da tanto tempo, scopre di non esserne ancora separato del tutto…Direbbero i preti: perché è Impossibile.
Io la penso diversamente e, simpatizzando con il protagonista, in cui in buona parte mi riconosco, riprendo con lui, nel film, il cammino lunghissimo, ma forse non interminabile, di cui una definitiva separazione (con il conforto del Santo Padre, “che riconosce comunque al giusto, anche se non credente, un posto in Paradiso”, battuta tagliata per esigenze di montaggio, che pronunciava il cardinal Piumini nel colloquio con Ernesto Picciafuoco nell’albergo dei poveri…)
Questa è la vera suspense che percorro tutto il film, in questo senso L’ora di religione potrebbe essere anche definito un giallo molto bizzarro.
“Marco Bellocchio crede molto nella recitazione. Questo, almeno, è quello che un attore sente lavorando con lui.In un film “contemporaneo”, questa fiducia verso gli attori è ancora più avvertibile.
Si parla dei gesti, delle parole del personaggio, ma in fondo si parla di noi, di ciò che si intravede di noi in quei gesti, in quelle parole.
Ernesto, il protagonista del film, è un uomo d’oggi; maturo, immaturo, coerente, incoerente. sa cosa deve fare per aiutare suo figlio a crescere e combattere contro chi glielo impedisce. Dall’altra parte, detesta il suo editore, ma è da lui che prende i soldi per campare. Viene sorpreso dalla storia, in un guado della vita che lo costringe a fare i conti con ventaglio di ruoli che la vita stessa ti assegna: padre, marito, figlio, amante…
Credo che L’ORA DI RELIGIONE sia un film moderno nel senso migliore della parola perché ristabilisce il primato delle relazioni umane su qualsiasi dogma”. Sergio Castellito
“Nel nuovo film di Bellocchio si coglie tutta la maestria del bel cinema italiano, che nasce dalla cronaca e finisce nella precisa ricostruzione di un sogno.
Forse non pacificato, ma certo reso più lieve nella sua ricerca interiore il regista elabora non solo le sue personali problematiche, ma anche la sua posizione storico sociale, le notizie di cronaca o di attualità, la pesantezza delle istituzioni, soprattutto di quelle su cui è stata costruita la nostra società nel passato.
Fin dalla prima scena del film porta in una dimensione alta dove c’è posto per riflessioni e ricomposizione e, al centro, la magnifica interpretazione degli attori: Sergio Castellitto attorno a cui ruota un mondo onirico con Piera Degli Esposti, Jacqueline Lustig, Gigio Alberti e Toni Bertorelli”(Recensione tratta da “Alias” del 20/04/02).