Flutti intermittenti di memoria in una ritmica cadenzata escono dal cilindro di Franco Gatti nella raccolta “Notte e altri versi” (OTMA Edizioni, Milano, 92 pagg.), una poesia che parla negli ultimi scaffali di un buio locale a una donna talmente lontana da essere impalpabile quanto drammaticamente reale.
La poetica del Gatti esprime, attraverso la quotidianità, il ricordo, cioè dona al ricordo realtà nel presente, lo materializza di fronte a sé, lo lascia dialogare con le cose: molti luoghi diventano così surreali e cominciano a usare un linguaggio di sottofondo che è invece quello poetico, quello che dice. Gatti però non è sentenzioso: nella sua discrezione spiega l’indifferenza, accende una sigaretta, sceglie tra il Martini e il Porto il fumo della lontananza, che poi si ricompone sotto una pioggia leggera di una di quelle vie che si percorrono tornando a casa.
Lo stile è in parte dovuto alla mente che coglie la poesia nei ritorni, poesia che non sarebbe degna se non fosse di buon livello e gradevole soprattutto alla lettura.
Alle volte questo tragitto verso il passato nel presente poetico acquista improvvisi lampi: i sentimenti si trovano a correre su una luce di vento, bloccandosi in un profumo, brillando nel significato, una patina lucida di quelle che si danno a certe candele colorate. Nelle composizioni migliori questo processo avviene con naturalezza, e sebbene, come dice Alda Merini nella prefazione, nella perfezione manchi un tocco di lirismo, lo scritto è impeccabile.
Se dovessimo fare opinione e scendere nel personale potremmo volere un verso più veloce o ancora più frantumato, ma la linea che trova il poeta è quella necessaria a spiegare la poesia che in se stesso si cela e magicamente nasce. I lettori aprono così diverse porte di quel cielo poetico guidati dalla significazione attenta dell’autore, simile a un buon Virgilio, canuto e pacato.
Alcune cadute ci sono non tanto nella mancanza di lirismo, quanto nella ricerca sperimentale di un lirismo o di un verso troppo complesso che non è propria del Gatti: quando i concetti vengono espressi con semplicità, senza esasperare una ricerca tecnica, la comunicazione migliora, si avvicina al lettore e lo guida al finale. C’è una stoccata vincente in questa quotidianità del ricordo che non si piega allo sperimentalismo o per forza ad un lirismo alla Montale — quel tipo di fare poesia è unico del grande Vate — perché nella realtà creata dal poeta sta già la grandezza, ed è bene assecondare le proprie istanze, vere, ché è l’unica possibilità di stupire il pubblico.
E Gatti lo fa.
Infatti, percorrendo la raccolta, ci si emoziona, ché è la faccenda poetica che dovrebbe interessarci, e spesso si ritrova l’ironia parlando con dei che esistono o con una signora che fa una spesa di parole nel supermercato della memoria. Questo già convince nella linea in cui viene sentito il verso. Certe cose come la televisione o le bianche ortensie sono più interessanti di un rattenuto gemito, poiché già la dimensione della scrittura che usa l’autore è poetica: questa è una grande fortuna o un grande merito, dibattono le fazioni in lotta della poesia, ma, fugando i dubbi di chi continua a parlare sterilmente di versi, è meglio pensare che la poesia accade e basta. Già è eterna quella pioggia che cade.
C’è una cosa che mi incuriosisce di questa scrittura, per ciò che mi ha colpito e che già avviene in certi slanci del poeta… E se un giorno il Gatti invece di parlare del passato con questo dono del presente, in questa dimensione quotidiana, ci svelasse il futuro?
Mi piacerebbe sapere della pioggia: sarà verde o gialla?