Luciano Dobrilovic (LD): Può dirci qualcosa di sé?

Vladimir Strockov (VS): Sono nato nel 1946 a Mosca. Ho studiato all’Istituto universitario di ingegneria di Mosca conseguendo la laurea di ingegnere-ricercatore. Poi sono stato per due anni ufficiale nell’Armata sovietica, quindi ho lavorato presso i centri statali di ricerca scientifica ed alla fine degli anni ’80, dando una svolta decisiva al mio destino, ho incominciato ad operare nel campo dell’editoria privata. Da alcuni anni sono direttore della rivista di cultura musicale Akkord.

Scrivo poesie praticamente da sempre, dal momento in cui ho preso coscienza di me stesso. La mia prima poesia l’ho scritta a 6 anni, ma ho incominciato a considerarmi un poeta tra gli anni ’70 ed ’80. Durante il periodo sovietico non ho pubblicato perché quello che scrivevo era molto lontano dai modelli ufficiali. Dalla metà degli anni ’80 ho incominciato a pubblicare sulle riviste del “samizdat”. La mia prima pubblicazione “legale” è del 1989. Da allora ho pubblicato circa 70 opere in Russia, tra l’altro nelle riviste quali Znamja, Družba narodov, Novyj Mir, Junost, Arion, Voum!, Novoe Literaturnoe obozrenie, Postscriptum, negli almanacchi Labirint-Exscentr, Strelec, Cernovik, in varie antologie. In quegli anni sono uscite anche le mie prime plaquettes ed alcune poesie sono state pubblicate in Germania e negli Stati Uniti. La mia prima raccolta Verbi del tempo incompiuto è del 1994. La seconda raccolta è praticamente pronta nel mio computer e fra non molto uscirà. Ho ragionato, come Solženitsyn detenuto del Gulag e costretto ad accettare le massime della mala “non fidarti di nessuno, non temere, non chiedere niente a nessuno”(applicando soprattutto la terza) e non sono mai andato nelle redazioni a proporre le mie poesie. Se le poesie lo meritano troveranno sempre qualcuno pronto a pubblicarle, se non interessano a nessuno, non vale la pena di pubblicarle.

LD: Ci dica della Sua poesia…

VS: Sono ricercatore non soltanto di formazione, ma per natura. Anche il mio approccio alla poesia è quello di un ricercatore. Il mio metodo di scrittura lo chiamo “polisemantica”. Parto dal fatto che il mondo — sia quello che ci circonda sia quello interiore — è complesso, mutevole, polisemico. Secondo me un testo poetico ideale è una “nuvola semantica” scintillante in cui le idee si compenetrano, in cui ogni parola, ogni frase riecheggia in altre parole e frasi mutando il contesto e il significato. È ovvio che questo testo ideale, come ogni ideale, è praticamente irraggiungibile, ma è possibile andarci molto vicino. Man mano che ci si avvicina, il percorso diventa più accidentato. Esiste, tuttavia, un certo limite esterno determinato dalla soglia della percezione. Ma vale la pena di creare un testo incomprensibile ai più? Finora nessuno è riuscito ad abolire la funzione comunicativa dell’arte, in particolare della poesia.

LD: Se dovesse parlarci della poesia in generale?

VS: Secondo me il problema centrale della poesia non sta né nel suo contenuto né nella sua forma, ma nello stile, ovvero, si concentra nella somma delle peculiarità che caratterizzano la scrittura di ogni poeta. Rifiuto categoricamente il termine postmoderno, “la morte dell’autore”, ora così in voga. Anch’io mi considero un poeta dell’epoca postmoderna, dell’epoca della coscienza postmoderna nel suo senso più largo, ma secondo me quest’espressione spesso non è che un paravento per la mediocrità. Un autore di talento ha una personalità spiccata, ben definita. La specificità della scrittura moderna viene espressa non a livello di lingua o di stile nel senso tradizionale, ma tramite la metalingua e il metastile dell’autore. Non c’è manipolazione che tenga: né i segni, né i codici, né i “realia” sono in grado di mascherare l’assenza della personalità artistica. Nessun “discours”, anche se costruito, riuscirà mai a nascondere la mediocrità.

LD: E riguardo alla moderna poesia russa?

VS: La sopravvivenza della poesia dipende in gran parte dalla capacità di usare le proprie risorse. La poesia russa odierna, figlia di una lingua viva, ricca, flessibile, traboccante di forme poetiche non ancora del tutto esplorate, usa varie forme. Oltre lla rima e il metro classico, nonché il cosiddetto “verso bianco” (“belyj stich”), vengono usati: il “dol’nik” (un verso ritmico parzialmente regolare), le forme tipicamente nazionali folcloristiche — la metrica della fiaba (“skaz”), della “bylina” (poema epico russo), del “raešnik” (prosa ritmata antica), della “častuška” (stornello russo) — varie forme riprese da altre culture (il rhubai, l’hokku, la tanka…), la prosa poetica, il verso libero e varie altre forme miste. A differenza della poesia della maggior parte dei paesi europei e dell’America, dove si usa prevalentemente il verso libero, la poesia russa di oggi non ha limiti linguistici, né tabù etico-ideologici. In questa vasta gamma di potenzialità che assicurano la massima libertà di scelta dei mezzi dell’espressione e della ricerca individuale vedo un modo per scongiurare il pericolo della stagnazione. Sebbene nella Russia degli ultimi due decenni l’interesse per la poesia, visti i cambiamenti radicali nella nostra società, sia notevolmente diminuito, in confronto all’Europa e all’America, in generale, questo interesse è comunque notevole.

Oggi nella poesia russa ci sono diverse correnti e forse una delle sue principali peculiarità consiste nel fatto che è una poesia senza scuole, una poesia a livello individuale. Ovviamente è possibile rilevare alcuni elementi predominanti rispetto alle sue tendenze ed alla sua evoluzione. Il concettualismo (soprattutto quello moscovita), che si è affermato alla fine dell’epoca sovietica e all’inizio dell’epoca post-sovietica, sembra che stia ormai per uscire dalla scena. Pare che anche il postmodernismo non sia più all’apogeo. Ai margini sopravvivono varie tendenze dell’avanguardia formale che hanno fatto rinascere le tradizioni dell’avanguardia di fine Ottocento inizio Novecento (interrotte per mezzo secolo nella Russia sovietica), la poesia visiva ed altre tendenze secondarie.

La nuova leva contesta il diritto di esprimersi in prima persona. Senza questo diritto acquisito i giovani poeti si sono trovati, come nelle vecchie fiabe russe, ad un crocicchio: adottare il punto di vista dei concettualisti cioè rifiutare la poesia dell’io; ignorare il motto dei concettualisti e scrivere come si scriveva prima di loro; oppure cercare, senza respingere i dogmi dei concettualisti, un nuovo metodo, libero dalle catene di questi dogmi. È questa la strada più difficile, lungo la quale è possibile perdersi, ma nello stesso tempo è anche la via più promettente.

Tutto sommato però la poesia russa odierna sta vivendo una nuova fioritura: forse non siamo né “nell’età dell’oro” né in quella “dell’argento”, ma certamente stiamo attraversando “l’età del bronzo”. Oggi nessuno ha più il diritto di decidere quale sia la corrente “giusta” e quale no. Sono alle spalle i tempi in cui la letteratura veniva governata dall’alto, abbiamo abbandonato — e speriamo per sempre — i tempi della frusta, delle redini e dei paraocchi. Rimane un unico metro per giudicare: la qualità. Per valutarla non abbiamo metodi scientifici. C’è un solo criterio ed esiste da quando esiste il mondo: sentire o non sentire la scossa emotiva.

Intervista a cura di Luciano Dobrilovic
Traduzione dal russo a cura di Giorgio Reti
(diplomatico e storico ungherese)
Julia Dobrovolskaja
(autrice di un dizionario russo-italiano
e traduttrice dei maggiori autori italiani in russo)