Giorgia Gelsi (GG): Siamo in compagnia di Valeria Moriconi, in questi giorni a Trieste con “Un equilibrio delicato” di Albee. Suo è il personaggio di Claire, un personaggio sopra le righe, che dà una chiave di lettura del testo che, per certi versi, è piuttosto complicato. è un personaggio che con straordinaria lucidità riesce anche a capire certe dinamiche familiari e a decodificarle. Tuttavia, penso che ci siano tantissimi modi per vedere, capire e vivere questo personaggio. Lei come l’ha vissuto e come l’ha sentito?
Valeria Moriconi (VM): Quando ho letto il copione per la prima volta, mi ha divertito. E io amo molto divertire il pubblico. Mi ha divertito per certe battute che dico, per certe comicità involontarie che si trovano nelle battute di Claire, che è un personaggio molto sfaccettato, molto contraddittorio per certi versi. è pieno di umorismo, di ironia, di sarcasmo. Commenta tutte le situazioni con queste coloriture, ma allo stesso tempo ha anche degli abissi in cui spesso cade, come succede a chi è un po’ labile dal punto di vista psicologico. Io ho vissuto bene questo personaggio, perché difficilmente mi capita di scontrarmi con dei personaggi, e questo è uno di quelli che ho amato subito.
GG: A proposito del testo: la critica si è un po’ divisa sul problema della sua attualità. Ricordiamo che è un testo del 1966 ed è già stato presentato in Italia con la regia di Zeffirelli e che dopo trent’anni, sempre nella traduzione di Masolino D’Amico, è ora portato in scena da Missiroli. Lei come trova questo testo o meglio, che corrispondenze trova tra la società americana così come viene raffigurata da Albee e la società italiana contemporanea?
VM: Vede, ho scelto questo testo perché trovavo che ci fosse un’assoluta corrispondenza di situazioni, anche nella società italiana. Tra l’altro, Albee vinse il premio Pulitzer per questo testo nel 1966-67, ed è difficile che un testo teatrale invecchi, anche perché la scrittura è talmente intelligente che difficilmente si possono sentire gli strati di polvere sopra. E poi penso che sia ancora più attuale oggi, riguarda anche noi. Quando il testo è stato scritto e poi rappresentato, si pensava: “Tanto quella è la società americana; tanto quello che succede lì, la paura, l’angoscia del vivere noi non le conosciamo”. Non c’era ancora il divorzio in Italia e nel testo c’è invece il personaggio della figlia che ha quattro divorzi alle spalle… Mi conforta molto che il pubblico per certi versi sia molto più avanti di certi critici, perché lo accetta come un testo nostro, in cui si ritrova, in cui si rispecchia, e certe situazioni sono senza dubbio attuali e nostre. Quindi, io sono assolutamente convinta che quando un testo teatrale è scritto intelligentemente, quando è recitato bene, come spero siamo riusciti a fare noi, quando c’è una bella regia, quando c’è una chiarezza di lettura, sia valido. Oggi non siamo più abituati all’intelligenza in palcoscenico o nello spettacolo: siamo abituati a un altro tipo di divertimento e di coinvolgimento, ma difficilmente questi ultimi vengono dall’intelligenza. Questo invece è uno di questi casi.
GG: Merito dell’autore, merito degli attori e del regista… Vorrei ricordare che Valeria Moriconi è una delle interpreti più versatili nel panorama italiano e ha un vastissimo repertorio alle spalle che l’ha portata alla consuetudine con i tragici greci, con Cechov, con molti altri autori. Quindi, dal suo punto di vista così ricco, che sensazione ha del teatro, della drammaturgia italiana? Dove sta andando, dove ci può portare?
VM: Non è soltanto la drammaturgia italiana… siamo in un momento di passaggio, come capita nella società e nella cultura di tutti i paesi in questo periodo. Non so cosa sentiamo, se siamo alla fine del millennio, alla fine del secolo, cosa c’è, non vedo perché la drammaturgia italiana non debba risentire di questo senso di insicurezza, di malessere che c’è in giro. Siccome il teatro è sempre uno specchio della società, della vita, anche il teatro risente di questa strana aria che c’è in giro. Io mi ricordo che anche in certe altre drammaturgie contemporanee, ma di altri paesi, come la Francia, l’Inghilterra, la Germania, che hanno dato agli anni ‘60-’70 dei grandissimi scrittori teatrali, c’è una certa sonnolenza; probabilmente anche in Italia sta succedendo questa cosa. Ma io ho molta fiducia. L’Italia è piena di talenti e poi io credo che ci sarà un “rimescolio” di qualche cosa che ci permetterà finalmente di dire: “Ah! Un bel testo italiano!”. Ho visto comunque che anche nell’ambiente cinematografico ci sono degli autori che si lamentano del cinema italiano, e non vedo quindi perché anche il teatro non dovrebbe risentirne.
GG: A proposito di cinema: lei può vantare di essere stata diretta anche da Visconti. Ci può ricordare com’è stata quell’esperienza?
VM: Io ho avuto la fortuna di lavorare con delle grandi personalità, di lavorare accanto a dei grandissimi attori e Visconti è stato uno dei più grandi che ho incontrato, naturalmente accanto a Eduardo De Filippo, accanto a Totò, a Franco …, tutti i registi più grandi italiani. Visconti è stato un grandissimo maestro e ricordo quel periodo della lavorazione della …. Di Giovanni Testori come uno dei più affascinanti periodi della mia vita e ancora oggi ritrovando e rileggendo certe lettere che Luchino mi scrisse, certe dediche ad alcuni libri io riassaporo quel periodo là, perché era un periodo intensissimo per me, ero agli inizi della carriera e stare a contatto con persone come Luchino Visconti, Paolo Stoppa, Rina Morelli era un periodo assolutamente esaltante.
GG: Le è rimasto il desiderio, la voglia di interpretare qualche personaggio femminile nel teatro oppure c’è qualche personaggio che le piacerebbe reinterpretare?
VM: Mi piacerebbe reinterpretare tutti quelli che ho fatto perché li ho amati tutti, poi mi piacerebbe interpretare Giulietta, che non ho mai fatto, e poi mi piacerebbe interpretare e finire la mia carriera con un personaggio maschile, Amleto.