Gianluca Guerra (GG): Lei ha parlato di “anoressia dell’arte” contemporanea, un concetto molto interessante, e, a dispetto del termine patologico usato, privo di connotazioni negative. Ce lo spiega meglio?

Achille Bonito Oliva (ABO): è merito o colpa vostra. La telematica, la smaterializzazione dell’immagine che, in qualche modo, smaterializzata, arriva a destinazione, trova il suo terminale spento o acceso: il pubblico a casa. Lo raggiunge dappertutto. L’arte tiene conto di questa smaterializzazione e utilizza la superficie pellicolare della fotografia, della pittura o di altre tecniche di rappresentazione proprio per dare questo senso di un’immagine che è visibile, ma che ha perduto per strada spessore, corpo e materia.

GG: è vero che in un certo senso la Rete, Internet, ha desacralizzato il museo come luogo della contemplazione estetica?

ABO: Sì, perché ha creato un non-luogo. Attraverso una navigazione perenne è possibile dunque intercettare opere e mostre senza il copyright. Mi piace finanche la potenziale pirateria che Internet può in qualche modo produrre e per le incursioni che può provocare. Io che sono un incursore (essendo un napoletano, più che possessivo mi sento un possedente e non ho il senso della proprietà) ritengo che — anche per noi intellettuali — sia molto importante navigare con i nostri concetti su Internet. E in questo senso, televisione e Internet sono — bisogna proprio dirlo — strumenti che aiutano l’arte contemporanea. Io, ad esempio, sto realizzando una trasmissione ogni sabato su Raiuno alle 00.45, mediante la quale offro al pubblico una pillola telematica, dato che ogni puntata dura sei minuti. L’arte contemporanea fa incursione a tutte le ore e così su Internet si può navigare senza pagare il biglietto.

GG: Lei ha frequentato il salotto di Maurizio Costanzo per un certo periodo e ha quindi avuto esperienze televisive di un certo livello. Ritiene che ci sia quindi un rapporto tra arte e televisione?

ABO: Può esserci. D’altra parte, la televisione è come il frigorifero: bisogna vedere cosa ci metti dentro… Di per sé non è assolutamente un mezzo negativo: i telegiornali, le trasmissioni utili, i collegamenti, i reportage sono utilissimi perché contraggono la geografia e lo spazio e ci permettono di fare delle incursioni, seppure veloci e a volo d’uccello, su realtà lontane. Infatti, la televisione, o anche Internet, sono realtà che aiutano la diffusione della cultura, mentre il libro è un’entità tipografica più circoscritta, come anche il mio libro “Gratis a bordo dell’Arte” che presento da Lipanje Puntin qui a Trieste, che è un libro che evidentemente cova dentro un deposito tipografico che ha secoli alle spalle. E secondo me, Internet è un passo ulteriore — come lo è stata la televisione, come la radio, il cinema, la fotografia — oltre la pittura, ma non significa strumento antitetico: è un allargamento della potenzialità, è una protesi che si aggiunge alla possibilità per l’uomo di esplorare il mondo. Esplorare: le “Odissee dell’arte”, questa mostra che realizzo qui al Museo Revoltella a Trieste, è proprio la dimostrazione di come l’arte contemporanea sia assolutamente nomade, apolide, slittante, dinamica, come lo era la ventiquattrore di Leopold Bloom dell’”Ulisse” di Joyce, che ha abitato a Trieste. Dunque, questa mostra è un omaggio all’arte, a Joyce, alla letteratura ed è anche un’arte contemporanea che sul nomadismo, sull’esplorazione, ha fondato il suo valore: un valore che ci permette di abitare e di capire meglio il nostro presente.

GG: Come è cambiato l’occhio dell’artista in quest’ultimo secolo, il suo sguardo verso il mondo?

ABO: è cambiato in quanto è entrato sempre di più nel quotidiano, ha accorciato le distanze tra arte e vita. Per questo la mostra è divisa in tre parti, odissee primarie, urbane, quotidiane e totali, perché oggi l’artista vive, intercetta il quotidiano e lo utilizza, e c’è tutta la tradizione duchampiana, ma anche Picasso ed altri che ci hanno dimostrato come il quotidiano ha i suoi piccoli eroismi senza bisogno di disturbare o di copiare. Il mito può essere reinterpretato, il mito di Odisseo, di Ulisse, può diventare l’emblema di un’identità nuova di questo soggetto che è l’artista, che, in una realtà complessa, labirintica, urbana, disurbana, violenta e aggressiva come la nostra, può trovare il proprio percorso e i propri spunti creativi e la propria libertà espressiva.

GG: Cosa significa essere artisti qui e ora, e cosa invece significa essere critici d’arte?

ABO: L’arte e la critica sono complementari, sono attività che sviluppano un concetto laico di cultura. Noi siamo, artisti e critici, inviati speciali nella realtà che, attraverso un acume sintetico o analitico, interpretiamo, finalmente, dopo che si sono rotte le lenti d’ingrandimento delle ideologie. Quindi è un’attività precaria, sanamente problematica e complessa, quale dev’essere quella intellettuale, che mette tutto in discussione, che ama il dubbio ed evita le certezze.