Giorgia Gelsi (GG): Siamo in compagnia di Patrick Rossi Gastaldi, interprete e regista di Capitolo secondo di Neil Simon, in questi giorni alla Contrada di Trieste. Appunto, abbiamo detto interprete e regista, e una domanda a questo punto sorge spontanea: è più bello fare l’attore o il regista?

Patrick Rossi Gastaldi (PRG): Sono due cose totalmente diverse, che messe insieme sono assolutamente presuntuose: essendo teatro brillante, fatto di recitazione e di attori, non è difficilissimo mettere insieme le due cose, basta avere le idee abbastanza chiare, e poi avere anche dei colleghi come Edi Angelillo, Blas Roca Rey e Daniela D’Angelo, che sono abbastanza particolari, siamo praticamente un équipe e, essendoci dentro anch’io, mi è più facile anche sorvegliarli, giocare con loro, sviluppare alcune cose che magari durante le prove non abbiamo avuto il tempo di vedere… Infatti lo spettacolo è rimasto, in due anni, compattissimo, anche con la sostituzione di Daniela D’Angelo, ha anzi acquistato nuove interpretazioni, nuovi approfondimenti e maturità che hanno giovato al divertimento dello spettacolo.

GG: Infatti si percepisce una grandissima coesione e un ritmo veramente avvolgente…

PRG: In una commedia come tutto il teatro brillante — anche se è una commedia che ha la sua parte seria — il ritmo è importantissimo. Appena allarghiamo un po’ i tempi diventa quasi una “soap opera”. Invece questo ritmo sostenuto, che è il ritmo tipico del teatro, fa diventare tutto più divertente, più “goduto”.

GG: Ritornando un attimo ancora alla curiosità che anima la dialettica attore-regista, e mi viene in mente Lavia, volendo forzatamente fare una gerarchia, secondo lei chi è più importante tra queste due figure?

PRG: Be’, senza attori il regista non esisterebbe…E viceversa, sì, sono sempre esistiti, viva gli attori!

GG: Parlando invece di questa commedia, che è appunto una commedia brillante, Neil Simon stesso ha detto che nella sue commedie c’è tanta autobiografia, e in questa forse in particolare.
Mentre, secondo lei, quanto gli attori portano di se stessi nella propria recitazione?

PRG: Innanzitutto il loro corpo, che è la parte visiva essenziale per creare un personaggio. Poi gli attori portano un umore, un’esperienza di vita, quello che vivono non nel quotidiano ma nel totale, che sono appunto gli umori, che si insinuano nelle parole, nelle pause e nei motivi dei personaggi che fanno. Possono essere esattamente il contrario di quello che è il personaggio, ma insinuare, immettere dentro delle piccole particelle del proprio cervello.

GG: In un suo cartellone di prosa ideale troverebbero più posto i classici o gli autori contemporanei?

PRG: Non sono così a cubi. Per come sta andando la mia carriera affronto sempre testi brillanti e comunque contemporanei. Ho paura di affrontare i classici, non lo so se è una mia incapacità perché ancora non ho provato, mescolare le due cose è sempre meglio…

GG: E ci può dare qualche anticipazione sul suo futuro? Qualcosa bolle in pentola?

PRG: Quest’anno non ho niente e sono felice di non aver niente… C’è solo una cosa importantissima: affronto per la prima volta la direzione artistica per la parte prosa del Festival di Todi, assieme a Simona Marchini, dal 19 al 30 di luglio. Organizzerò la parte prosa, e sono molto contento di sperimentare una parte del mio carattere abbastanza eclettico. Vedo che il mio cervello si è messo in azione molto bene, sono molto contento! Per l’anno prossimo non lo so, vorrei “pausare” un po’…

GG: Quindi attore, regista, anche produttore…

PRG: Mi metto nel frigo! No, ho voglia di immagazzinare nuove esperienze, vorrei viaggiare, vorrei leggere di più. Sento che devo staccare un attimo, perché sennò vivo di cotto e ricotto!