Giorgia Gelsi (GG): Siamo qui nel camerino al teatro Cristallo di Trieste in compagnia di Eros Pagni, interprete in questi giorni del Sior Todero brontolon.
L’abbiamo vista meno di due mesi fa sulle scene del teatro Rossetti a interpretare il Tartufo di Molière, e nasce spontaneo un confronto tra i due personaggi. Lei, che li ha vissuti “dall’interno”, cosa può dirci, come li ha sentiti?
Eros Pagni (EP): Direi che non sono accomunabili, se non dal fatto che sono due personaggi che fanno parte di un teatro di carattere. Ma sono agli antipodi: noi ci troviamo di fronte a Tartufo che ha un’intelligenza superiore, un’intelligenza istintiva, profonda, mentre vediamo in Todero un uomo che si è creato il suo orticello a prezzo di tante fatiche, e questo orticello lo vuole difendere. E oltre a difenderlo, ne vuole essere padrone assoluto, e per questo corre il rischio di essere tacciato di avaro, di spilorcio, ma forse direi non tanto avaro quanto oculato, perché ciò che ha ottenuto l’ha ottenuto con sacrifici, come frutto di enormi fatiche.
GG: Secondo Lei è un testo che è svincolato anche dal contesto in cui è stato scritto, e che ora può avere una sua attualità? C’è secondo lei qualche sior Todero brontolon in giro?
EP: Senza dubbio, noi abbiamo parlato di un aspetto del carattere di Todero, dell’avarizia che io preferirei tradurre in oculatezza. Poi c’è il Todero uomo di sani principi morali, una persona profondamente onesta e pulita, e userei anche un altro attributo: Todero è una persona giusta. Ecco, oggi un personaggio come Todero sarebbe una mosca bianca!
GG: Una curiosità invece per quel che riguarda il testo dal punto di vista linguistico. Com’è cimentarsi in un testo scritto in veneziano?
EP: Abbiamo di fronte un testo scritto in dialetto, e — come ho già detto in una conferenza stampa — secondo me non si può imparare un dialetto. Lo si può copiare, lo si può accennare: il dialetto è lo specchio di una società, è lo specchio di un agglomerato umano che se non vissuto da vicino e per tempo non credo si possa imparare. Comunque, il dialetto ti permette forse un tipo di recitazione più vera, più fedele al testo, che rifugge da psicologismi inutili ed è senza dubbio un aiuto per l’interprete. Poi l’attore, laddove sia accompagnato da un bagaglio professionale un po’ nutrito, non credo che avverta particolari difficoltà ad affrontare un linguaggio nuovo.
GG: Cosa c’è nel suo futuro, può darci qualche anticipazione?
EP: Per quanto riguarda il futuro, c’è in progetto di venire anche qui a Trieste, nel rinnovato Politeama Rossetti, con il Don Giovanni di Molière. Altri programmi, al momento, non so farli.
GG: Visto che ha parlato di Trieste e dei suoi teatri, viene spontaneo chiederle com’è il suo rapporto con questa città, come la trova…
EP: Sono quarantadue anni che vengo a Trieste spesso, e ci lascio sempre un pezzetto di cuore, perché mi piace la città prima di tutto, e mi piace del triestino questo spirito un po’ fatale, un po’ decadente nel senso positivo però del termine…Fatalista, insomma, con questa grande voglia di vivere e di considerare la vita un dono raro, come tale dovrebbe essere.
Insomma, mi accomunano ai triestini tanti sentimenti.