Martina Palaskov (MP): Signor Del Giudice, lei scrive o vive? (La domanda è chiaramente metaforica, si riferisce alla figura di Bazlen, trattata nel libro dell’autore. N.d.r)

Daniele Del Giudice (DDG): Fortunatamente i tempi di scrittura sono molto più veloci dei tempi della vita, quindi sono molto attento a quello che accade. Sono in continuo viaggio, sono curioso di tutto quello che accade, mi muovo, ho degli hobby che non hanno niente a che fare con la letteratura, ho delle passioni tecniche ed aeronautiche che coltivo da anni. Sostanzialmente faccio la mia vita, nella quale rientra anche la scrittura… quando scrivo. Tra un libro e l’altro ci sono dei cambiamenti di pelle, per lo meno me lo auguro, e anche di conoscenza.

MP: Chiaramente la domanda è stata posta in termini filosofici; ovvero, lei affronta la vita come Bobi Bazlen, colui che ha sempre potuto scrivere ma ha preferito vivere la vita piuttosto che narrarla oppure…

DDG: Sono una persona che ha scritto dei libri… questo però non vuol dire niente. Ho scritto diversi libri. Da sempre, da che ho memoria. Il mio rapporto con gli altri è avvenuto attraverso un racconto, una narrazione (da ragazzo lo facevo a voce), e poi anche da ragazzino ho incominciato a scrivere… è il mio modo di stare con gli altri. Non è il problema di scrivere o non scrivere, né di vita o letteratura. Per me è sempre stato il modo di stare al mondo. Probabilmente non è stato uno dei migliori modi per stare al mondo, però è quello che a me è toccato.

MP: La ricerca sul personaggio del libro è una ricerca che lei ha svolto veramente; ovvero, il romanzo può essere considerato autobiografico?

DDG: Io mi sono messo in viaggio per Trieste, mi sono messo in viaggio per Londra. Ero molto curioso dell’impronta che, su molte persone, il personaggio, Roberto Bazlen, aveva lasciato. Ero curioso… e li ho veramente conosciuti. Come una sorta di viaggio nell’eco lasciato dai corpi, nell’eco lasciato dalle voci, dalle conoscenze forti di sentimento…

MP: Autobiografico lo è stato per forza…

DDG: Be’, quando uso dei personaggi che esistono, li chiamo con i loro nomi. Quando sono personaggi d’invenzione, allora no. Li invento di sana pianta. Lo faccio perché questa loro esistenza anagrafica dà una consistenza che consolida una vera radice. Questo è utile ad essere più leggibile e più credibile.

MP: Che rapporto ha lei con la città di Trieste?

DDG: Molto curioso… Perché, ne Lo stadio di Wimbledon ovviamente sono dovuto restare a Trieste. Dopo questo libro, ho scritto un altro romanzo che si chiama Atlante Occidentale che si svolge a Ginevra nel laboratorio del CERN, che ha come protagonisti un giovane fisico e un vecchio scrittore. A seguito di quel romanzo sono stato invitato a collaborare ad un laboratorio di ricerca che abbiamo fatto io ed altri sull’immaginario scientifico. Quindi sono tornato qui. Venivo una volta al mese, per due o tre giorni, per collaborare al laboratorio scientifico, che facevamo alla SISSA, allora diretta da Abdu Salam, un premio nobel della fisica teorica; un mussulmano praticante, che poi purtroppo è morto. Mi sono quindi trovato di nuovo a Trieste, anche se avevo scritto un libro che è estremamente lontano dall’esperienza precedente. E poi ancora, quando ho scritto un altro romanzo che si chiama Staccando l’ombra da terra, mentre cercavo la storia di alcuni piloti di guerra, della seconda guerra mondiale, ne ho trovato uno che sapevo che proveniva da Trieste. Quando venivo qui, in occasione del laboratorio di ricerca, con i fisici e i matematici, ho pensato “ma forse, forse è ancora vivo…”. Allora, ho preso il treno di corsa, ma, un po’ come la protagonista del film di Amalric, prima di prendere il treno ho dato un’occhiata all’elenco telefonico, ho trovato il nome e l’ho chiamato. Sono rimasto così sorpreso, perché gli ho detto “ma…è vivo” e lui mi ha risposto “ma certo e sono anche andato a pescare”. Quindi c’è uno strano legame con Trieste.

Poi le città non sono mai solo città, ma sono come ciascuno le vive. Quindi, quando torno a Trieste, anche oggi che sono arrivato con Mathieu (Amalric N.d.R.), anche se la giornata è grigia, ti mette di buon umore… è come dovrebbe essere Trieste in gennaio.

MP: Potremmo affermare che Trieste non è Trieste senza Bobi Bazlen…

DDG: No, No… c’è una triestinità. Questo è un problema dei triestini, non posso parlarne io. Ogni città ha la sua vera drammaticità, e cerca di scoprire di che cosa si tratta. A Trieste c’è la triestinità, a Napoli c’è la napoletanità… Io, però, non appartenendo alla città, lascio ad altri la riflessione.