Mi si chiede di scrivere un pezzo sul Fantafestival che fu. Due o tre paginette “cappellane” sulla magnifica esperienza triestina… Sinceramente sarei un po’ restia: non mi piace scrivere, non amo riandare con nostalgia al passato, non mi sembra il caso di inserirmi tra i contributi di coloro che fecero nascere e portarono avanti per tante edizioni il Festival di Fantascienza. Potrei fare un pezzetto di costume, un piccolo amarcord su quella che è stata la mia prima esperienza con il Festival. “Manovalanza culturale”, l’ama definire un mio amico: ideare, progettare, ma anche buttarcisi dentro, costruire giorno per giorno l’evento, vederlo crescere facendo anche i lavori più ‘semplici’ come scrivere indirizzi, distribuire volantini, preparare comunicati stampa, rispondere al telefono, ecc. ecc.: molto più faticoso ma molto più divertente del modo con cui oggi si organizzano gli eventi culturali che in nome della “professionalità” trasformano la cultura in merce.
Delle varie edizioni del Festival a cui partecipò La Cappella Underground, quella che mi è più cara e in cui mi sono immersa totalmente fu quella del 1977, in cui curammo la retrospettiva Fant’America 1 . A distanza di anni come sempre il ricordo è piacevole, ma senza dubbio fu vissuto da me come uno dei periodi più esaltanti e nello stesso tempo più allucinanti.
Mi ricordo:la scoperta di due grandi del cinema di cui a mala pena avevo sentito parlare precedentemente: un mitico Lon Chaney, l’uomo dai mille volti, eccezionale nelle sue trasformazioni che rasentano quasi il masochismo. I trucchi e gli effetti speciali dei film di oggi non sono nulla a confronto della sofferenza che si legge nel volto, nelle palpebre legate, negli occhi torturati, nei muscoli in tensione, nel corpo contratto con cui riesce a rappresentare il grottesco e il ripugnante. Dalle sue interpretazioni scaturisce un erotismo sottile e sofferto: un volto deforme nasconde spesso un cuore in pezzi, una passione che arriva fino al sacrificio fisico (e mi viene in mente Alonzo, tragicamente innamorato di una stupenda Joan Crawford al punto da farsi amputare le braccia, ne”Lo sconosciuto” di Tod Browning.)
L’altra figura a cui dedicammo la retrospettiva fu Tod Browning, regista del tenebroso, dell’orrido, del grottesco, del misterioso, che diresse vari film con lo stesso Lon Chaney, e autore di quel capolavoro che è FREAKS , oggi costantemente applaudito dalla quasi totalità degli spettatori , “un film — come disse Vincent Canby del New York Times — di quella mezza dozzina circa di grandi film dell’orrore di tutti i tempi”…
Mi ricordo: la mia prima esperienza con le grandi case di distribuzione americane, in particolare l’Universal, che con grosse difficoltà ci concessero le pellicole: ci volle la raccomandazione / assicurazione di un importante studioso americano come Stuart Rosenthal perché si fidassero di far proiettare i film a Trieste (era già nota la triste fama della pirateria italiana!)
Mi ricordo: l’arrivo delle pellicole con un Rosenthal ansiosissimo, preoccupatissimo, agitatissimo: se avesse potuto avrebbe dormito sopra le pellicole per il terrore di dover rispondere alle Major americane in caso di furto. Oltre ai vari problemi organizzativi esterni (circa 30 film proiettati al Cinema Fenice, allora ancora in attività, e al Castello di San Giusto) dovevamo fare i conti con le sue paranoie, dargli i tranquillanti quando l’agitazione diventava troppo forte. Mi sembrava tutto esagerato, ma mi sbagliavo.Le pizze si snodavano nella sala della Cappella,allineate in ordine per titolo e giorno di proiezione, in modo che costantemente potessero essere controllate e ricontrollate.
E poimi ricordo l’incubo dei giornalisti e critici cinephile: arrivarono in massa attirati dalla possibilità di vedere cose mai viste (non esisteva ancora il ‘boom ‘ delle videocassette), alcuni sono diventati famosi nel panorama della critica cinematografica, altri non ci sono più. E qui cominciarono altri problemi:bisognava arginare da una parte le paranoie di Rosenthal, dall’altra la voglia di poter visionare più volte le pellicole da parte dei critici nonché le proposte che ci arrivavano da più parti di stampare delle copie per “salvare questo patrimonio”.”Non ci vuole niente — dicevano — le mandiamo con un corriere a Milano e il giorno dopo sono di ritorno ‘clonate’. Resistemmo, anche se la tentazione era forte: eravamo convinti (e lo siamo tuttora) che una maggiore circolazione non è un danno ma un vantaggio per l’ampliamento del pubblico.Il tempo ci ha dato ragione: molti dei film presentati in quell’edizione sono scomparsi, probabilmente esistono negli archivi delle Major, ma nessuno li richiede perché pochi ne conoscono l’esistenza.
Ma — qui lo dico e qui lo nego — un furto fu fatto, non a danno delle Case americane (avevamo troppa paura dei loro supercontrolli) e non svelerò certamente qui il titolo, però — a buon intenditor poche parole — è l’unico film, firmato da Tod e interpretato da Lon, che circola ancora in qualche sala…
Emi ricordo con gratitudine e affetto due figure fondamentali per la riuscita della retrospettiva:Carlo Moser, scoperto proprio quella volta come pianista/improvvisatore:grazie al suo grande amore per il cinema, riuscì a ‘entrare’ nei temi dei vari film con grande intelligenza e maestria. Fant’America 1 fu il suo trampolino di lancio, i giornalisti americani presenti ne parlarono sulle loro riviste, e in seguito si esibì in vari festival, tra cuile prime edizioni de “Le giornate del Cinema muto”. di Pordenone.. L’altro incredibile personaggio fu Stefano, il proiezionista bambino. Sapeva tutto di proiettori, pellicole, carboni (preistoria!). Non so dove avesse imparato, fatto sta che un giorno si presentò in Cappella chiedendo di poter stare ogni tanto accanto al nostro proiezionista e ‘rubava’ con gli occhi il mestiere. Una manna per gli assatanati cinephile che si facevano proiettare i film in orari incredibili proprio in Cappella. Ne ricavò una citazione su “L’Espresso”!