Strano destino, quello della fantascienza (d’ora in avanti SF). Nata nell’Ottocento positivista come forma curiosa e potentemente immaginativa di letteratura con sfumature di denuncia, passò presto nel limbo delle fantasie tutto sommato innocue e talvolta considerate addirittura puerili. Nonostante i tentativi di riscatto di quello che forse era un genere, ma non, come si diceva qualche tempo fa, paraletteratura, da parte di critici letterari illustri e incontestabili (da Solmi a Scholes), la SF non ce la fece: vide ampliarsi la sua platea di lettori, sì, ma dovette attendere l’arrivo di un’altra platea, quella degli spettatori cinematografici per poter finalmente presentarsi con tutte le carte in regola.
Le carte in regola: che significa? Significa linguaggio, stile, struttura, e soprattutto la capacità di parlare di una condizione tutto sommato non diversa nei millenni, siano essi passati o futuri. Significa lasciar perdere l’attenzione e la precisione nella speculazione tecnologica a vantaggio di quanto è più riposto e segreto in coloro che la utilizzano. Significa rivoluzionare l’idea di tempo per meglio comprendere la nostra Storia e il nostro Tempo. Significa, infine, dare forma fantastica a qualcosa che sentiamo ci appartiene e che pure non avvertiamo in modo chiaro e preciso, ma soltanto come oscure componenti di un mutamento in atto nella nostra cultura, un mutamento che non è necessariamente scientifico, ma che più largamente riguarda quel che noi pensiamo di noi stessi di contro a quello che non molto tempo prima pensavamo.
Non che la miglior SF letteraria non ottemperasse a tutto questo. Tuttavia, si sa, sulla letteratura di genere incombe — soprattutto da noi — la seriosità di una critica di stampo in fin dei conti ancora idealistico. Arroccata su posizioni selettive secolari, l’accademia ha dovuto attendere parecchio per poter vedere qualche suo rappresentante occuparsi seriamente di SF (i Pagetti, i Suvin, gli Scholes, i Jameson sono un fenomeno dell’ultimo trentennio del secolo), magari tollerato da colleghi che non la pensavano come lui. Ci voleva il cinema, mezzo principe della massa, perché la SF acquistasse questo status al di fuori dei circoli, specialistici o accademici che fossero. Pervasivo e immaginifico, il cinema è l’incarnazione (falsamente) concreta del pensiero inventivo, della stessa speculazione scientifica.
Il cinema mette in scena (nel senso psicanalitico: “acting out”) il dramma di una cultura, e il cinema di SF mette in scena quello stesso dramma sotto forma di sfrenata invenzione, di stravagante fantasia.
Era uno sbocco inevitabile in una società invasata dal perfezionamento tecnologico: il cinema, banco di prova supremo di ogni tecnologia avanzata, non poteva non trovare nella tecnologia anche il proprio soggetto privilegiato. In sostanza, una sorta di metacinema.
Se oggi guardiamo indietro viene da sorridere davanti alle ingenuità di certi filmetti anni ’50 dagli effetti speciali che tutto erano tranne che speciali, ma la fantasia dello spettatore suppliva ad ogni mancanza, la sua disponibilità allo stupore diveniva parte del gioco. Quello, sì, era cinema interattivo.
Il perfezionamento operato dall’odierna tecnologia nei confronti dei prodotti dell’immaginario ha completamente cambiato il quadro recettivo: una società pigra si adagia passivamente sulle poltroncine lasciandosi inondare da suoni, forme e colori al di là di ogni immaginazione. Pure, esiste uno spazio di lettura, di pensiero, di critica. Anzi, esiste oggi più che mai, dal momento che la SF cinematografica si è fatta, come si diceva, foriera della nostra episteme forse più di ogni altro genere; dal momento che nel fantastico più che nel verosimile l’immaginario trova nel nostro tempo il miglior terreno per articolarsi.
Non a caso da Kubrick a Cronenberg non sono pochi gli Autori (l’A maiuscola è di rigore) che nella SF hanno visto un magnifico teatro per inscenare i drammi del loro immaginario che è il nostro.
Seguiamo attentamente questo cinema: esso indica non solo la via del nostro futuro, ma anche e soprattutto quella del nostro presente.