Da dove tornare o partire? Arrischiando un po’, una possibile ipotesi potrebbe essere una dichiarazione di un regista tuttofare che di nome fa Antonio Margheriti, ma che si firma con lo pseudonimo anglofono Anthony Dawson, al critico francese J.P. Boyxon contenuta nel libro edito nel 1971 “La science-fiction au cinéma”. Raccontava il nostro: “in dodici settimane, nel 1965, ho ideato, preparato e girato quattro film di fantascienza, contemporaneamente. Un lavoro incredibile! Bisognava utilizzare dei claps, dei colori differenti, per sapere alla fine a quale film appartenevano le varie scene. (…) C’erano cose abbastanza buone in questi film, ma anche molto cattive. Li ho dimenticati, ed è grazie a questa memoria di breve durata che posso vivere senza incubi”.
Non so dire, appropriandomi inopinatamente di queste dichiarazioni (da sottoscrivere, parafrasando e adattandola al festival triestino la frase “c’erano film molto buoni in quegli anni, ma anche molti cattivi”), se grazie ad una memoria di breve durata si possa vivere senza incubi, ma lo sguardo retrospettivo rivolto ai venti anni del festival triestino di fantascienza (1963-’82), in virtù del fatto di averli in gran parte frequentati, mi ha fatto riflettere su quanta memoria riuscissi a recuperare di quel periodo. Già perché, scartata l’utopica idea di reperire e quindi rivedere i film passati sullo schermo di San Giusto, molti dei quali neanche distribuiti in Italia, forse l’unica possibilità di ripensare il festival si può basare sulla consultazione dei cataloghi delle varie edizioni, sulla ricerca delle cronache coeve e su quanto fa riaffiorare la memoria, consapevoli del fatto di quanto essa possa essere ingannevole e fallace. Diciotto anni sono già passati da quell’ultima edizione, e da allora la stessa concezione dei generi cinematografici, tra cui ovviamente la fantascienza, ha subito delle notevoli rivalutazioni, la distinzione tra autori e artigiani (chissà perché spesso identificati come onesti) si è progressivamente ridotta, critici e spettatori onnivori e bulimici hanno ridisegnato le coordinate dell’estetica e del gusto. Se negli anni Sessanta qualcuno poteva teorizzare, con ragione, che esisteva un cinema prima e dopo Godard, il nuovo secolo sembra piuttosto consolidare la tendenza alle più disparate contaminazioni di un cinema che supera le ormai obsolete categorie di corto, medio e lungometraggio, Internet rivoluziona le nostre abitudini e i nostri comportamenti. Il presente tallona sempre più da vicino il futuro e si allontana rapidamente dal passato. In questa congiuntura ricapitolare il passato significa indossare lo scafandro del palombaro per immergersi in acque e mondi lontani e profondi, sperando di riportare in superficie qualche reperto. Alla ricerca della fantascienza perduta, ma con lo sguardo, citando il maestro dei maestri Kubrick, rivolto al 2001 e oltre.