Se ricordo bene, era il giugno, o il luglio, del 1983, quando tornai a Trieste, dopo quattordici anni che non vi mettevo piede. Lo scopo era duplice: iniziare una collaborazione col “Piccolo” (che avevamo lasciato nel 1954, quando si chiamava provvisoriamente “Il Giornale di Trieste”) e partecipare a un dibattito, ove si discettava sulla possibilità o meno di tenere in vita il festival del Film di Fantascienza, nato nel ’63, ma che ormai si trascinava in stato preagonico, e non solo per mancanza di adeguate sovvenzioni. Lo ricordo, perché “Il Piccolo” mi chiese seduta stante un articolo sul dibattito, che scrissi sull’aereo che mi portava a Roma. Dove dicevo che il festival era entrato in crisi il giorno in cui il cinema di fantascienza era passato dai film di “serie B” ai film di “super serie A”, cioè ai film più impegnativi dell’industria hollywoodiana, che per via dei loro costi, dovevano porsi al vertice della classifica degli incassi. Le Guerre stellari, gli Incontri ravvicinati del terzo tipo, gli E. T., venivano rifiutati ai festival “generalisti” (Berlino, Cannes, Venezia), perché era rischioso porli preventivamente al vaglio della critica. A maggior ragione non li si mandava ai festival “specializzati”, come quello di Trieste, ormai ridotti a prendere gli scarti della produzione maggiore.
A diciassette anni da quella estate, che praticamente sancì la fine del festival, la situazione sul piano dei film non appare cambiata. In più sono entrati in crisi pressoché tutti i festival che non sono riusciti a divenire un evento mediatico internazionale. Potrebbe divenirlo il Festival di Trieste se, rinascendo, volesse riprendere il discorso da dove lo avevamo interrotto? Ve lo immaginate un evento mediatico centrato su dei film di “serie B”? Evidentemente no. Né è pensabile un ritorno generale del cinema alla situazione degli anni Sessanta. Siamo in un momento di rapida trasformazione dell’audio-visivo, che parte dal settore tecnico e finisce per investire i modi stessi della sua fruizione. Ecco, forse, la soluzione. Vedo nel futuro la possibilità di un appuntamento annuale per documentare, anche sul piano spettacolare, le tappe successive di questa trasformazione. Appuntamento, l’ho chiamato, poiché “festival” è un termine che allo stato delle cose potrebbe anche portare sfortuna.