“Ahò, Grande Frate’, oggi nun me sento troppo bene…”: nello stanzino dalla tappezzeria trapuntata in colore cardinalizio detta “il confessionale”, unico luogo rituale di un’ambientazione a metà fra la caserma e lo show-room Ikea ma più simile a una toilette che a una cappella privata, uno dei concorrenti della nota trasmissione televisiva si rivolge direttamente a Lui. Ci crede, evidentemente, non ha avuto bisogno di comperare l’ultimo numero di “Micromega” che ha venduto 100.000 copie ponendo in copertina non una donna nuda in stile “Espresso-Panorama” ma la domanda “Dio esiste?”. Ci crede e gli dà del tu, come si fa con Dio e con Mara Venier. Solo che con il Grande Fratello non c’è bisogno di dire da dove si chiama. Primo perché lui è, per definizione, onniscente, secondo perché non c’è molto da scegliere, il microfono sta lì. Chissà come se lo immagina (perché dev’essere difficile parlare con qualcuno senza avere un’idea di che faccia abbia, perfino il Cristianesimo su questo punto ha ceduto): bello, alto e biondo oppure piccoletto, un po’ pelato e con il doppiopetto grigio? Certo è uno di noi, per ora ci porta la spesa ma alla fine, per chi si sarà comportato bene, ci saranno i milioni. E forse un posto lassù, accanto a Lui, una scrivania o magari un Set.

La trasmissione di Stream-Canale5 cancella di colpo tutte quelle cupe fantasie dell’umanità note come Utopia negativa. Orwell era un incontentabile rompipalle che probabilmente non sorrideva mai. Non bisogna aver paura di chi ci guarda e ci guida, basta andare nello stanzino e parlargli, “ahò Grande Frate’”. Nel Villaggio Globale la privacy ha le dimensioni di un locale WC ma in compenso tutti sono fratelli, quelli che bussano da fuori (hai finito? tocca a me!) come nelle commedie senza doppi servizi degli anni cinquanta e quelli guardano dall’alto. Anzi, forse si può stabilire una regola matematica: la grandezza del Villaggio è inversamente proporzionale alla grandezza del Fratello.