Cartoline
I
Eccola,
questa enorme città leopardo
pronta ad assalirmi
a dilaniare le mie viscere.
Mi avvicino con discrezione
con la paura sospesa nel vento.
Quei fucili mireranno
al mio torace da un momento all’altro
ed io sarò gettata in una fossa
buia e umida, lasciata lì morta e nessuno
sentirà più parlare di me,
ma
il leopardo comincia ad accarezzarmi
mi sfiora come un regalo.
Sono sulla strada per Antigua
stretta tra un uomo e un altro
ossa contro ossa con un po’ di carne
per comfort. Sopra e intorno
gente, gente. Mezzo villaggio su un solo autobus.
L’uomo alla mia sinistra è senza denti,
conversiamo correntemente in spagnolo
o almeno così pare, perché non smettiamo mai.
Mi parla di Antigua, le sue mani
disegnano vulcani nell’aria, e gli credo
quando mi dice che lì sarò felice.
II
Mi sveglio il primo giorno.
È l’alba e Antigua è in guerra.
I carri armati si stanno avvicinando,
i fucili risuonano con raffiche,
le pause dense di paura.
La vernice si sta scrostando dal soffitto
per il resto è una stanza pulita, spartana.
Gli spari diventano più forti; la mia coperta
non è mai stata così blu, così elettrica.
Sono i poveri che reclamano
le loro proprietà, le loro vite
o i ricchi che succhiano più sangue?
Quando tutto diventa tranquillo esco
nelle strade acciottolate
aspettandomi di trovarle coperte
di cadaveri e sangue ,
invece
solo un maturo sole mattutino
in uno strano nuovo posto
e il fumo dei fuochi d’artificio
per festeggiare il compleanno di qualcuno.
III
Le strade si aprono in linee parallele
una griglia, come a New York, però no.
È antica, lacerata da eruzioni vulcaniche
e da qualche parte riassemblata
Tetti sprofondati, una sull’altra
colonne spagnole, eruzioni spagnole.
Un tempo capitale, ora quietamente rannicchiata
quasi ventre molle della capitale.
Case lavate di ocra, rosa e blu,
il gusto di tempera e decadente eleganza.
Parque Central si trova nel centro della griglia,
il pistillo del fiore, il favo.
Qui una volta si tenevano corride, ma ora
brulica di magnifici bambini
che vendono mercanzie e tessuti Maya.
I loro piedi nudi calpestano delicatamente il terreno
mentre ti ficcano in mano storia tessuta,
in migliaia di mani. E ti individuano da lontano
come il nuovo, quello con il borsellino ancora aperto,
quello che può ancora essere incantato
e lo sei. Sempre.
Incontro un americano in un caffè,
ha fatto il giro del mondo in bicicletta due volte.
Una volta cominciato, non aveva più potuto fermarsi.
Gli ci sono voluti venti anni, e mentre parla
gli guardo le gambe per avere conferma,
muscoli grandi, forti con una mente come una giostra.
Se ne incontrano molti così, gente che non può
[fermarsi.
Di due tipi: quelli che viaggiano perché curiosi
e quelli che viaggiano perché mancano di curiosità,
inseguono la loro coda, e non si accorgono che è
[stata troncata
tanto tempo fa.
IV
Aria di highlands, polvere dei Maya,
l’autobus s’inerpica su strade ventose
un bambino sulle mie ginocchia, ascelle sudate
e braccia e gambe intrecciate con stranieri,
stipate, uno contro le parti intime dell’altro
e nessuno batte ciglio. Un momento avviluppata
in un seno enorme, contro una spalla ossuta, una
[massa
di corpi che si alza e si abbassa ritmicamente a tempo
[di Salsa
prendendo spunto da ogni curva.
V
È fiesta a San Pablo, un piccolo villaggio
appollaiato su una collina vicino al lago Atitlan.
Lo raggiungiamo in un caldo afoso, scalando un
[sentiero secco, polveroso,
i nostri piedi sollevano odore di urina e feci.
Tutti in abiti da cerimonia, una gamma di motivi,
una miniera d’oro geografica.
La donna Maya al centro
fila di generazioni segnano
le relazioni con la comunità, con il mondo.
L’huipil, la blusa
con segni come lampi, linee orizzontali,
tre bande che suonano nella piazza,
tutte insieme. Motivi diversi.
La gente balla e succhia Pepsi-cola
da sacchetti di plastica. La chiesa trasformata
in un avventuroso parco giochi, con striscioni
rossi e bianchi che pendono fluttuando, quasi
[toccando
i bambini che fanno capriole sul pavimento di pietra.
È l’avvento del Cristo Nero?
Un folle canto di vita.
VI
Un donna si piega sotto l’intero peso della sua vita,
pallida sotto la pelle scura.
Questa è la foto che non posso fare
e voglio avvicinarmi di più,
voglio sapere tutto sul peso
della vita di questa donna.
VII
Sto seduta vicino al lago Atitlan, circondato dai
[vulcani.
È il crepuscolo con migliaia di sfumature di porpora,
smetto di contarle.
Porpora chiaro, che si disintegra in onde fiammeggianti
nessun confine, nessuna strada, solo infinito, oltre…
Viaggio attraverso l’acqua, mi lascio
dissolvere nelle braccia del lago.
Nessun passato. Nessun futuro. Nessun inizio.
Sono qui, bevo il lago
e quando mi avvicino al significato
esso scivola oltre la mia visione
in un tempo precedente alla mia nascita
oltre la creazione stessa, cambiando colore
mentre scompare dalla mia vista
in una macchia di porpora.
Forse ho vissuto qui prima
senza paura e brama.
VIII
L’autobus lascia Guatemala City la mattina presto.
La prima fermata è Chiquimula.
Qui si vede solo la polvere e gli uomini,
facce di pietra con bocche come litorali frastagliati.
Non c’è chiacchierio.
Prendiamo posto sull’autobus, ci dirigiamo a El Florido,
il confine con Honduras e Copan, ci prepariamo
a nuovo sapore di polvere e braccia incrociate
IX
Là dove il fiume incrocia il villaggio di Copan
si trova la scala geroglifico dei Maya,
i templi e le sale da ballo in cui un tempo
fioriva la civiltà, reinventando se stessa senza avidità,
con grandi idee. Un coro di sculture di pietra,
intorno al quale ci muoviamo come lemmings
a bocche spalancate per lo stupore, eternalizzandolo
nel solo modo in cui ci è possibile, risucchiandolo con i
[nostri obiettivi,
ingoiando a fatica.
X
I tratti del mio volto diminuiscono
e diventano parte di questa terra fertile,
la terra rosso vivo e le piantagioni di banana.
I bambini giocano nudi davanti a capanne
[improvvisate,
la frutta sta maturando sul terreno.
Yorshire rap