Fondazione della città
E adesso dove sopra quale vincolo a quale
bottino appoggerò l’anima
a quale pietra per favore a quale
ieri. Nessuno mi disse che sarebbero cominciati
oggi i secoli della notte. Lunedì
di una città nella desolazione.
Qui c’è stata una popolazione già spennata
il cacicco sbranato. E il piano
delle distruzioni? E i casati
disegnati dalla strage?
Voglio inventarmi una città. È necessario
fondare un nome, quasi l’annuncio
di una capitale, come una predizione.
(Io potrei chiamarla Immaginata, Abbandonata,
Non-nata.) Soltanto un suono che nessuno ascolta
utile per stabilire la proprietà
sulla durata dei resuscitati.
Ah non nata. Solo nominata. Solo
vento senza ululato che possa scacciare
l’eccesso di morte. Eccomi qua
a piantare lo stendardo di un rumore solitario
a giocare coi campanili a disegnare
strade immemorabili a inviare specialisti
nel provocare l’eco per non sentirmi
soltanto solo ma moltissimo più solo.
A completare l’involucro orale di una città
che è stata e che dopo sarà abitata
dal figlio di chi di chi
sepolto vivo nella sua armatura
che sarà statua vivente
di una statua collerica e pelosa.
Rovesciata. Perché ancora non ha avuto tempo
per le nuove posizioni dell’amore.
Meticciato
Chi conosce suo padre, chi
l’ha visto stancarsi il rene
o ha tastato dall’interno la pelle
fra il vento e l’anima. Le vedove,
giare di noia, feconde trascurate
nell’assalto?
Io so che fui una macchia
notturna su un corpo, quella non lavata
quella che non domandò di me. Come domando:
Passeggeri di fretta, chi di voi
mi riempì di odio fin dall’utero, come
da una stanza di un albergo a ore,
chi spianò la fodera di violenza
dove mia madre urlò (sento nel mio osso
il grido, piuttosto un’eco del suo osso),
può lei riconoscere la barba, provare
– il reggimento in formazione — la lingua
con la lingua e dire: È stato questo l’uomo?
Ha avuto una parola da uomo, rotta
in sillabe dal bacio o soltanto peli
e liquido? E il resto, è mio il resto
di vivere ogni giorno tutto il giorno, tutta
l’oscurità della fronte e dell’inizio?
Orbene: a un tratto esisto, appena
inaugurato. E non ci sono setacci nel sangue,
non c’è visitatore che lo conservi integro,
il nome a volte: oh cognome del ventre,
stirpe che indaga chi è proprio, cosa
diavolo vuole, per mettere insieme come acque
due memorie, e il rancore che sorge
fra le due costole.
(Ma è grave
il resto: essere perché sì, illecito, d’urgenza,
questo iniziare con un soldato e finire
con un soldato, come un racconto di guerra.)
Cereria
Hai portato il tuo corpo? le domando,
e mi dai tutto il tuo chiarore, nuda.
Un’estate notturnale ti fece ardere le foglie,
i petali della camicia e gli occhielli,
e poi un vino robusto ti gocciola sordamente
dai grappoli. E io, denso,
animale opaco, ombra tua perché da te
mi divide il mio braccio, dietro di te
perché fa buio, o ai tuoi piedi
perché sì.
Sopra di te perché alla mia anima
avvicini il tuo fianco, perché ci rimane
il cuore, la sua forma riunita, quando abbiamo
ormai bruciato l’angelo che ti popola,
e sopravvive il nardo di sudore e di vuoto
che tieni fra i tuoi seni. Inevitabile
il tuo sudario, chiaro involucro fugace,
inevitabile la vena che amo profondamente,
ma impermeabile galleggi e ti assenti
nella tua vasca di sogni, e ancora nell’accendere
i fiammiferi, e un’altra lingua infervorata
ti sollecita.
Assoggettato a te portami
e incollami: non voglio più il mio mestiere
duro di tagliatore di pietre, mi ha vinto la tua
[ubbidienza
facile come il delitto: i miei polpastrelli hanno lasciato
le sue orme sui tuoi cilindri, come su di uno
strumento.
Fermati, anche se
in piedi, mi illumini la tua breve durata, il tuo puro
termine, ancora devo saldarti ai fianchi
i pampini con pianto, gli ingiusti paramenti.
Non aprire: che nessun vento forestiero
venga a ridurre la tua fiamma, né il sole
a disfarti a suo capriccio, non sia che mi resti
di te senza di te solo il tuo odore, come il fumo,
[traccia
dell’implacabilmente consumato.
La visita
(Capitolo di romanzo)
Busso alla porta.
Chi è, domando.
Io, rispondo.
Avanti, dico.
Io entro.
Mi ritrovo quello che sono stato tempo fa.
Mi attende quello che sono adesso.
Non so quale dei due è più vecchio.
Agosto è il mese più crudele
perché è qui di nuovo a rimuovere gli amanti dai ponti
e sono tornate le signore inglesi dell’altro anno
cinquant’anni più vecchie per via della svalutazione
[della sterlina
e delle leggi contro la segregazione razziale nel lavoro
che hanno provocato l’ira dei dockers di londra
nipoti snaturati dei famosi proletari che ci fecero
[credere nel manifesto
sono tornate a svalutare le loro gonne le ragazze
[apolidi o svedesi (non si sa mai)
le loro fette di coscia mordibili definitive per un
[apprezzamento strutturalista delle violazioni
e il dumping di sottoprodotti del violino sui terrazzi
i giovani biondi mendicanti che dovevano diventare
[geni
in ginocchio rifanno i loro velázquez di gesso sui
[marciapiedi
tra ornamenti di fil di ferro gatti di lana quattro o tre
[monete
e la gentaglia che arriva da tutto il mondo come se
[soltanto qui ci fossero ristoranti
e donne decise lentamente a spogliarsi o a spogliarsi
[lentamente
ma di giorno non c’è altro da fare che andare a vedere
[il louvre e questo
e si avvicinano scettici perché a volte si tratta di una
[poesia
e si allontanano prudenti sorridendo perspicaci
perché è scritto grazie in tutte le lingue
e perfino in arabo risulta imbarazzante
ma in qualsiasi momento si può ricreare il disturbo
come un cane chiuso in un attico che aspetta
qualcuno che apra la porta dopo le ferie
perché il quartiere latino è il solito con in più la polizia
che solleva il selciato e ricopre con l’asfalto la
[spianata che c’è sotto
perché la gioventù marxista-pessimista
non si porti dietro la sua giustizia accumulata fin da
[maggio
ecco l’unica novità dell’estate
e che troveranno senz’altro altre armi quando
[vorranno
e che sto peggio come prima o più di prima se è
[possibile
e che sentiamo la mancanza di quelle notti di fuoco
[ogni notte
e ci sentiamo inutili di fronte a tante automobili intatte
monumento successivo all’animale pre-umano
e la calma cotonata l’ordine come un’accusa
di quella festa della violenza che abbiamo avuto resta
[solo l’orgoglio
di essercene infischiati dei limiti del possibile
esigendo tutto il potere per l’immaginazione
lei è adesso la vera pazza della casa
qualcosa avviene passa non è reale ancora
e tuttavia è l’unica cosa vera
tu ad esempio
non ho altre risposte
alle domande idiote della logica
Funerale di un’eccezione
Ora cerco il volto che dovevi avere
prima che io nascessi da te per sopravvivermi
il tuo gemito simile al mio nome sotto la mia bocca
il tuo odore di femmina di tigre con copia per la mia
[camicia
Ormai non siamo che il resto che si accomoda nei
[nostri limiti
dopo dodici notti di animale dismisura
e ci lasciamo amare e divorare alle spalle
dagli amari avvoltoi della memoria
Busso ancora alla porta del tuo abito
ma non rimane dentro nessuno che mi apra
né rancore che provi che una volta ci amammo
plausibile segnale di essere esistiti
Forse qualcuno ci sognava e si svegliò senza avvisarci
e ci lasciò di colpo così disorientati
guanto che perché mai ti riempirà una mano a piene
[mani
e io perché persempremente ormai senzadite
L’amore dissepolto1
[…]
Quando ciechi o nell’ombra la carezza intuisce l’osso
nel passare la mano come un fazzoletto che deterge
il movimento di rotazione della spalla
o nell’atto dell’amore la colonna sdraiata dalla nuca al
[calcagno,
è possibile trovare il rilievo assoluto
– negazione duratura del fugace cui ci afferriamo -,
baciare le costole che ignoriamo a causa dei seni,
cercare nel fondo della sacra convessità dei fianchi
l’osso piatto, specchio dove mi riconosco,
mordere il femore dove c’era la coscia,
toccare infine dentro il macchinario umano
che trepida e non soltanto quello che suda,
con la stessa tenerezza, la stessa paura
con cui nella disperata lussuria
si tocca la donna, con la paura che svanisca
(donna sempre di passaggio),
fieri di aver aggiunto lentezza all’istinto
e, come gli scopritori, nominiamo regioni, membra
dicendo: pianure, pendii, colline, affluenti,
valli, montagne, lago fra due diramazioni:
termini sostantivi di una facile geografia di retorica
[pigrizia
perché non conosciamo lo scheletro della donna ma il
[paesaggio.
* * *
Sabbia ho detto e niente ho detto tranne le sei lettere
[del nome,
niente tranne le sue erranti sillabe che la brezza
[muove
come pesci morti da un mare secco che il mare
[seccamente
avesse tolto a morsi,
e trascinata da correnti di vento o di acqua, girando a
[volte come una trottola cieca,
la sabbia se ne va dal mondo, se ne va nel mondo, la
[portano via e la riportano
e ritorna concubina a giacere sotto la polvere,
coperchio sempre malamente fissato della bara del
[suolo,
e la terra la inghiotte facendola rotolare verso la sua
[tenebra
dove coloro che si amano aspettano abbracciati
sotto quella grigia pelle estranea che un soffio
[basterebbe a disfare.
E quando colui che sa di queste cose ha pulito
con un pennello più leggero dell’alito
la terra, la polvere dello sperma e delle ossa mescolate
in una sola farina torbida,
ci portiamo dietro come ricordo del posto dove giace
[l’amoroso monumento vivente,
qualcosa di tangibile, ad esempio valve dove la sabbia
si sistemò per riposare l’altro ieri notte in un altro
[secolo,
o ad esempio una manciata di quella sabbia.
Meglio così,
così ci scivolerà fra le dita, cadrà a terra,
tornerà ad andarsene chissà dove e triste,
ci lascerà nuovamente liberi per perdonarci
ancora il nostro rimorso.
* * *
L’uomo lasciò la palma pronta sulla vorace tenera
[fessura
come ad impedire che ne uscisse l’urlo
o come uno che strappa un mazzo di fiori dagli steli,
magari peli che a forza di accarezzarli
gli cancellarono le linee della mano
(chiromanzia superflua, infruttuosa profezia
[all’incontrario
perché il destino vaticinato — vietato invecchiare — è
[passato compiuto)
e rimaniamo a guardare con spavento commosso, anzi
[con invidia,
quella carezza fondamentale,
eternamente lunga,
senza intervalli di numeri, lacrime, rimproveri,
[aggettivi,
di coloro che non giurarono amarsi fino all’arrivo
[dell’avvoltoio e dopo del verme
(era troppo presto ancora,
non si era degradato ancora il linguaggio
nell’erosione della goffa promessa teatrale e
[ingannatrice,
né il vertiginoso amore si prolungava nella sciocca
[menzogna
come il suono nel silenzio),
né fu offerto dall’uno all’altra il suicidio sacralmente
[inutile,
ma continuano a morire fino ad amarsi davvero per
[sempre.
Che voglia di cominciare daccapo, di tornare all’iniziale
[tenerezza,
dicendoci che forse da qui a diecimila anni
magari saremo di nuovo innocenti,
di nuovo umani, capaci di inventare ogni volta la
[carezza primigenia,
e viene voglia di convocare qui anche le madri affinché
[imparino pur se tardi
(le nostre madri, povere, che ebbero soltanto un
[marito,
che si confessavano, come fosse una colpa, per
[essersi eccitate una notte con l’urlo vaginale
[della vicina,
quelle che il coniuge e il prete avevano convinto di
[avere
un’apertura soltanto perché ne uscisse il figlio
mentre nell’altra era fenditura in cui beveva il
[pellegrino).
Venga dunque pure mia madre a bruciare i suoi panni
[di sangue
vedendo per la prima volta la carezza che arde ancora
[come rovo rituale.
* * *
Per parlare della morte mi alzo presto,
come un sordomuto cui da noia il silenzio.
Per parlare, diciamo, dell’uomo che accumula i suoi
[morti sotto terra,
conducente di esiliati che tornano tenaci nel paese
[verticale.
Ma questa volta chi è stato — giustiziere collerico o
[assassino invidioso –
il becchino ruffiano di cui parlano gli ossologi
(“Ritengo che queste persone non ricevettero la morte in questo luogo né in questa posizione, ma piuttosto che i loro corpi vennero sistemati in questa posizione evocativa dopo la morte […]. Il braccio destro del primo individuo è disteso sul corpo dell’altro e una gamba è sollevata sopra le gambe dell’altro, coprendole”2 ),
insolente lascivo scultore che concepì l’uragano di due
[corpi
(di principi, sacerdoti, o capi, dico,
perché nessuno avrebbe regalato — inventandolo — un
[amplesso postumo agli amanti poveri).
Mi alzo presto per domandare, ad esempio, chi
– la tribù, sempre la tribù, ancora la tribù? –
portò le sette pietre, e da dove le fece rotolare
[sistemandole
in un ordine sterile, infruttuoso,
visto che non poterono impedire che la testa dell’uomo
[pensasse alla donna dopo morto,
né che il petto della donna continuasse ad amarlo con
[il cuore, come si dice,
e sopra ogni sesso pietra
(pietra accanto a ogni sesso),
punizione per il tabù senza lucchetto né serratura
perché il male, appena scoperto, non scappi fuori
[contagioso
(grave male, perché da sesso a sesso allora c’era la
[tenerezza).
Che non si presenti qui chi non ha mai potuto
[annodarsi internamente con un altro,
perché questo è santuario e preghiera del desiderio,
non videocassetta pornografica né scena da bordello
spiata attraverso mirini dai fornicatori del sabato sera.
Traduzioni: Laboratorio di traduzioni di Casa della poesia