Mi preme il ringraziamento all’amico Umberto Mangani, tenero poeta matto come i poeti, che tra la professione del commercio in rete e il deluso soliloquio di frasi smozzicate, è ancora capace dell’entusiasmo, dell’ardore che consegna alle Fucine i talenti della poesia di cui leggete a sommario. Provengono, le voci e le immagini dello spirito, dalla repubblica marinara d’Amalfi. Che quest’anno accoglie la grande poesia che si è accasata in Multimedia edizioni: quella riunita nelle “Parole di mare” (da noi a Trieste invece si fa Maremetraggi, sul “corto d’autore”, e la solfa è altra, peggiore assai. C’era però Tiberio Timperi: il che è tutto dire…).

Si diceva della poesia. Parole e pelle d’oca, che provo in tarda ora davvero al maneggiare (per un attimo, come fossi il critico letterario che non sono) cose di Ferlinghetti, o dell’Ira Cohen che ha fatto “The Invasion of Thunderbolt Pagoda”, prodotto “Paradise Now”, la cui penna cola oro sulla tovaglia. Beat e Love Generation m’arrivano addosso come un treno: Charlie Parker, kif e naked lunch, expanded cinema, Pull my Daisy e Chappaqua. Grateful Dead. D. A. Levy che si spara “alla fronte con la sua carabina calibro 22“, e scrive “E gli angeli non vennero a trovarmi“.

Ritaglio un verso, un’immagine, e dispongo un collage sul tappeto di casa mia, aggiungendo poco perché della poesia ho sacro rispetto, come questa fosse un corpo nudo e perfetto così com’è, che non abbisogna degli stracci da criticonzolo con cui coprirsi e presentarsi. Poesia, non befana.

“Ehi Allen, ovunque ora!”: è per me un bel modo per iniziare, per Janine Vega il suggello finale a Ginsberg e alla sua memoria, evocata ancora oggi. Ritratto schizzato al quale Janine spesso si abbandona (ricordo “Poesia a Pitt”, che si chiudeva con un “solo le stelle non tintinnano stanotte/ e il cuore è un animale solitario“). Di A.G., è inutile dire.
 
C’è
L’alchimista dell’anima, di Howl e Kaddish, di quel verso iniziale fragoroso, “I saw the best mind of my generation destroyed by madness…“. 

Ma se volete, pensate pure ad altro Allen: a Woody se va meglio, magari mentre beve l’ayahuasca – il che ci starebbe – perché “Allen” è poesia, non equazione. Al filo rosso-beat (e comunista – è parola che si può dire ancora, oggi?) s’unisce Jack Hirschman, incazzato mica poco, che scrive “siamo nel piccolo foro nella tua testa / in cui è entrato il proiettile”. Altro bullet in the head, questa volta ideologico e poetico, da parte d’un ragazzaccio di NY di 67 anni, romantico dal capello lungo, che crede ancora nel porta a porta, nella stretta di mano, nel sorriso e nella vita da vivere tutta nell’impegno e nel disimpegno totale. Come fa Izet Sarajlic, che ci consegna struggente i bei momenti di vita, di danza e lacrime dalla carneficina. “8 marzo del novantaquattro / la Sarajevo amorosa non si arrende./ Sul tavolo l’invito per il matinée danzante allo ‘Sloga’/ naturalmente ci andiamo“. È malinconia per la vita magnifica che è passata, è voglia di ricominciare ancora; ad esempio dall’amore che in “Tutto Potevo” consente a Sarajelic ogni cosa. “Tutto,/ fintanto eri con me,/ potevo. / Persino,/ come mi avesse dipinto Chagall,/ volare sopra Sarajevo“.

Agneta Falk vola anche lei, ma su Antigua, San Pablo, il lago Atitlan. C’invia cartoline maya e si chiede se sia l’ora del Cristo nero; così come Nasser, che rimemora furie primitive, antiche crudeltà, principi giordani, lui che in Giordania è nato, e che ora è apolide tra Beirut, Londra, Amman, Il Cairo. Rivede “mogli che mostrano a giudici sonnolenti / i segni delle frustate sulle cosce” e “pastori che sgozzano un montone / davanti ad un amante“: cose di laggiù, della pietra, dell’aratro, delle mandrie. Sangue e amore, altri tempi e luoghi, ancestrali, universali. D’altro canto eccola la poesia giovane e antica, con il poeta eremita: “Eccolo che avanza come lancia pagana / invadendo i luoghi delle sillabe / spargendo il suo sangue / innalzando al sole le sue ferite“. Adonis immagina d’un poeta che si cinge di pietre, che urla alle caverne; e d’una poesia magica, che naturalmente si ricollega al Leopardi selvaggio, o al Pan d’un certo beat. È “Il luogo pagano”: “ben venga una famiglia che unisce l’occhio al delirio“, scrive Mohammed Bennis. Perché la famiglia, così come è data per assunto sociale, è da combattere. John Giorno ci bestemmia in faccia, “Just say no to family values”. Ci invita a tutto ciò che “non si può”, che non si deve: parla di sostanze sacre, come ai tempi dell'”East Village Other”, quando Walter Bowart scriveva sulla proibizione di un sacramento da parte del Governo Federale… LSD, si chiamava l’ostia. Ma tabacco, sesso, ed altro ancora, sono mezzi di conoscenza e amore. Per accendere la coscienza, che è sempre un procedimento chimico. “Just make love and compassion“. Va bene, ma con coscienza (appunto). 
Buon Giorno su Fucine Mute.