Ci voleva l’ultima edizione del festival latino-americano di Trieste (ottobre 99) perché si potesse scoprire in libreria un volume completamente dedicato ad un regista del Messico, veramente una rarità.

A parte l’ottimo lavoro di Martini e Vidal dedicato alla storica “Epoca de Oro”, quella di Fernández e Figueroa, tanto per intenderci, sulla rassegna torinese del 1997, nonché il volume “Le cinema Mexicain” di Paulo A. Panagua, che risale al 93, con la sua vasta retrospettiva al Centre Pompidou di Parigi, non ci sembra che molti altri libri recenti siano stati rivolti al cinema messicano.

Articoli e resoconti da festival non ne sono mancati, a tutt’oggi, sulle riviste specializzate, e anche le recenti biografie nel centenario di Buñuel, grande e prolungata meteora messicana, si sono occupate a lungo del suo periodo: basterebbe fra tutte quella di Alberto Farassino.

Ma il nome d’un regista messicano poco più che cinquantenne, ci sembra veramente una gradita sorpresa, sulla copertina di questo volume delle edizioni APCLAI che porta una grafica di Cuevas con “Los retos de Retes”, cioè di Gabriel Retes, dove “retos” , giocato sul cognome, può significare non solo scommesse, ma anche “sfide” o “provocazioni”. E sono termini che si adattano benissimo alla persona in questione.

Immagine articolo Fucine MuteL’autore ha diviso il suo lavoro in tre sezioni “chiaramente differenziate ma che aspirano ad essere complementari fra loro”.

La prima sezione è una corposa serie d’interviste realizzate dall’autore, buon amico del regista, a casa di Retes, a Città del Messico, dalle quali emerge vivacissima la sua storia di giovane universitario molto legato alla famiglia (tutta gente del teatro) e anche molto impegnato politicamente . La sua famiglia ospitava sempre dei personaggi importanti: uno di questi era il pittore Diego Rivera, che gli regalava dieci pesos a ogni visita: “Diego, per favore, il denaro che mi regali dallo a me, perché se lo tengono sempre i miei genitori..” E Rivera gli aveva dato, ridendo, ben cento pesos “personali”.

Il giovane Gabriel si interessava, ovviamente, al teatro, e aveva anche avuto dei successi quando, appena diciassettenne, aveva interpretato una lunga telenovela. Poi arrivò l’interesse per il cinema, con ore ed ore a vedere di tutto sugli schermi della capitale subissati di pellicole americane che non sempre gli piacevano, e senza sapere nulla di lontane “Epocas de oro” del cinema di casa. E, ancora, la scoperta dell’altro cinema, non quello degli schermi giganti, ma del Super8, usato con un gruppo di amici come Paco I. Taibo, futuro scrittore di fama, “per raccontare le storie, in un paese che aveva bisogno di ascoltarle e di narrarle”..

Immagine articolo Fucine MuteNella seconda parte, le storia, dei suoi film e della sua vita scorrono in parallelo per un ventennio: undici titoli interessanti, in particolare i primi, decisamente contro corrente, al punto che la potente sorella del presidente della repubblica di turno negli anni 70, respinse l’invito a Cannes, che era stato portato direttamente dagli inviati di quel Festival , per “Nuevo Mundo” , questo il titolo del film, mentre la signora era Margarita Lopez Portillo, responsabile delle relazioni culturali.

Altri film di Retes andarono ai festival di Berlino e di Mosca, e la suddetta signora si rassegnò di malavoglia.

Il lavoro di Gabriel Retes continua regolarmente negli anni, tutto punteggiato da imprevisti, dei quali lui sa sempre cogliere il lato umoristico e pittoresco , come l’invito a Hollywood nel 1988 per una regia: accoglienza cordialissima, appartamento di lusso con la sua compagna Lourdes e la figlia Gabriela, arrivo del produttore con i soldi e l’impresario, che si innamora pazzamente diuna splendida segretaria di produzione scappando con lei alle Hawaii.. Almeno ebbe la soddisfazione di essere il precursore dei tanti registi messicani che lavorano attualmente a Hollywood, e per di più ebbe una buona proposta di lavoro nella produzione di Home Video in lingua spagnola molto richiesti negli States. Ne risultarono tre film di ottimo esito.

Il 1991 è l’anno del film più noto di Retes , “El Bulto” , che si può tradurre come pacco, o ingombro. È la storia di Lauro, un fotografo che, durante una manifestazione, prende un colpo in testa e rimane per vent’anni in stato di coma, per risvegliarsi in un Messico che non riconosce più e in un mondo che non è più il suo. L’unico mondo è per lui quello della famiglia: e Retes ha impiegato come attori lui stesso e molti dei suoi parenti (ricordo di Cassavetes?) , in un film molto acuto e anche divertente. Ne seguono altri due, di cui l’ultimo è ora in distribuzione, e i tre film hanno avuto vivo successo in tre festival successivi a Guadalajara, la sede annuale del cinema messicano.

Il festival triestino del 99 ha reso omaggio a Retes con due dei suoi film, e il secondo era naturalmente “El Bulto”.

La terza parte del volume di de la Vega Alfaro si occupa della critica messicana dedicata a ciascuno dei film di Gabriel, una rassegna meticolosa e molto interessante. Conclude l’opera un’appendice, “Dieci note sull’evoluzione del cinema messicano” che passa in esame tutta la produzione nazionale, dalle origini ad oggi, corredata da un ottimo materiale fotografico.

In conclusione, un cinema con un passato ancora da rivalutare e con un futuro ancora in evoluzione. E soprattutto un suo protagonista geniale e originalissimo.a