Il 19 aprile scorso i quotidiani italiani riportavano con gran rilievo due notizie. La prima era l’”esclusione”, o per meglio dire la non inclusione, di ogni film italiano dal concorso del Festival di Cannes. La seconda era l’esclusione, o per meglio dire l’eliminazione, di tutte le squadre di calcio italiane dalle Coppe europee dopo la sconfitta in semifinale dell’ultima rimasta in gara, la Lazio. Non accadeva da 13 anni, durante i quali anzi almeno un club italiano aveva sempre vinto una coppa o era giunto alla finale. Fra i molti commenti che specialmente la prima notizia ha suscitato, ad opera non solo di critici cinematografici ma di intellettuali nazionali, profeti culturali e opinionisti a gettone (in genere gli stessi che un anno fa esultavano per gli Oscar Benigni al cinema italiano e che in questo caso si sono dedicati all’altro “sport” nazionale dopo il correre in soccorso al vincitore, e cioè infierire sullo sconfitto) mi è sembrato particolarmente condivisibile quello del critico cinematografico del “Corriere della Sera” Giorgio Tosatti, che ho visto qualche volta come ospite, col suo faccione rotondo e bonario (evidentemente deve essere tifoso di qualche squadra) in una trasmissione televisiva chiamata “La domenica sportiva”.
Già il titolo del suo articolo, comparso sul “Corriere” del 21 aprile, contiene una raffinata citazione cinematografica: “Errori di gestione e poca cultura ma l’Italia non è all’anno zero”. Per chi non lo avesse letto, ne riporto ampi stralci, permettendomi solo di inserire fra parentesi, di tanto in tanto, qualche breve nota o spiegazione per chiarire alcuni passaggi o decifrare un linguaggio a volte un po’ oscuro e specialistico.
“Perso il primo posto nella classifica Uefa dopo molte stagioni di assoluto predominio. Ora la Spagna [riferimento all’Oscar al film di Almodovar] ci supera di parecchio”…
“Ci sono cause naturali (una grande generazione tramonta, la successiva è mediocre) e difetti di varia natura: 1) Errori di gestione. Troppa fretta nel montare e smontare le squadre [il purista Tosatti non usa il francesismo “troupe”], nel giudicare tecnici ed atleti [citazione da Majakovskij: “il cinema è un atleta…”]. L’assillo del risultato: non si lavora per il domani ma solo per oggi. Così è difficile costruire. Si pagano troppo giocatori normali: si buttano via talenti che sarebbero utili [seguono esempi con nomi di registi o attori che francamente non conosco, Helguera, Reiziger, Carboni, Bogarde, ma non era morto?]
2) Errori di cultura. Abbiamo abbandonato le caratteristiche del calcio latino (tecnica, rapidità, fantasia, astuzia) per emulare quello dell’Europa [qui c’è un lapsus, certo voleva dire America] centro-settentrionale basato sull’atletismo, lo scontro fisico, il pressing esasperato. Delitto perpetrato anche nei vivai dove si allevano soldatini robotizzati. L’invasione degli stranieri contribuisce a questa perdita culturale della nostra identità, tanto più che molti assemblano gente di tanti paesi diversi … “
“3) Difetti strutturali. Abbiamo un campionato di B [il cinema?] assistito economicamente dalla serie A [la televisione?] e una C [il cinema indipendente?] priva di risorse e di logica funzionale. Dovrebbe essere riservata ai giovani, con al massimo due o tre fuori-quota, in modo da dare uno sbocco al vivaio. La stessa B dovrebbe essere strutturata in due gironi con tetti d’ingaggio, costi minori, più derby, recupero di centri importanti ed un numero obbligatorio di giovani. Una cifra delle entrate nazionali dovrebbe essere riservata a chi alleva i giovani. Detto questo non vorrei si esagerasse nel flagellarci. Appena un anno fa vincemmo due Coppe su tre…”
L’articolo di Tosatti continua con ardite metafore, oltre al vezzo già visto di scrivere calcio al posto di cinema, e con un gergo tecnico che trovo davvero un po’ criptico per un quotidiano. Certo la sua ottima conoscenza di trame di film che non tutti hanno visto (“In fondo senza una papera colossale del suo portiere la Dinamo Kiev avrebbe eliminato il Real e se il gol di Rui Costa non fosse stato ingiustamente annullato la Fiorentina avrebbe messo fuori il Valencia. La Lazio, suicidatasi all’andata…” : ma è una commedia o un melodramma?) e di autori minori e “sommersi” (“era meglio tenere Andersson che prendere Ravanelli”) rende il suo discorso a tratti un po’ troppo specialistico e a volte incomprensibile. Ma nelle sue parti teoriche l’analisi mi sembra sensata e centrata. Chissà se il critico sportivo del suo giornale, che mi pare si chiami Boksic, o forse Kezich, ci saprà dare una analoga lettura della crisi del calcio italiano?