Immagine articolo Fucine MuteLorenzo Bertuzzi (LB): In che situazione si trovava il mondo dei fumetti britannico, “la scena underground”, negli anni ‘70 e ‘80? Ho sentito parlare di riviste come “Near Myths”, “Warrior”, “Psstt!” (la prima “casa” di Luther, vero?) e, più tardi, “2000a.D.”, che sono state la “palestra” in cui si sono formati giovani autori come Moore, Morrison, Mills e altri. è stato difficile ritagliarsi uno spazio nei confronti della produzione americana in un mercato che vi vedeva parlare la stessa lingua? Potrebbe essere questa la ragione per cui adesso non esiste più un mercato britannico? Be’, va bene: il vero motivo di questa domanda è che ho uno stock di “2000a.D.” che voglio vendere, quindi… sì, certo, ti darò il 30%, va bene?

Bryan Talbot (BT): Verso la fine degli anni ‘70, la scena underground stava scomparendo, o magari trasformandosi nella scena “alternativa”, che produsse cose come “Near Myths”. Ed è stato proprio su “Near Myths” che Luther iniziò a vivere le sue prime avventure, anche se la sua prima apparizione risale al 1976, in “Brainstorm Comix”. Tra l’altro, questa storia è inclusa, insieme ad altri fumetti underground che creai all’epoca, nelle 120 pagine della nuova raccolta “Bryan Talbot’s Brainstorm”, in uscita questo mese per la Alchemy Press. Come vedi anch’io so farmi pubblicità, adesso ne farò un po’ per te in modo che possa vendere i tuoi “2000a.D.”. Negli anni ‘80, “2000a.D.” era il centro del mondo britannico dei fumetti: emozionanti storie pervase da black humor, esperimenti grafici e narrativi e, in più, le magnifiche matite di gente come Brian Bolland, Dave Gibbons e Glenn Fabry. E poi gli scrittori: Alan Moore, Alan Grant, Grant Morrison e molti altri hanno affinato la loro arte su quelle pagine, fino a rasentare la perfezione. Io ho lavorato per “2000a.D.” per quattro-cinque anni, attorno alla metà degli anni ‘80, soprattutto disegnando “Nemesis the Warlock”, scritto da Pat Mills, ma disegnai anche Judge Dredd per circa tre mesi. Le storie di Nemesis sono state ristampate in volumi cartonati dalla Titan Books, ma penso che siano ormai fuori catalogo. A quel tempo, i fumetti americani erano diventati troppo standardizzati, noiosi e insipidi. L’invasione britannica nel mondo del fumetto americano corrispondeva all’avvento del punk nella scena pop. Una volta iniziata, non ci fu bisogno di combattere per ritagliarci uno spazio, anzi!, furono gli editori americani a venire nel Regno Unito e prelevare chiunque fosse in grado di tenere una penna in mano.

LB: Non è strano che molti autori britannici che riscuotono un notevole successo negli Stati Uniti (forse perché gli artisti americani prendono generalmente ispirazione dalle radici della cultura americana o dalle radici del fumetto americano stesso, quindi parliamo di Kirby, Lee o Eisner, mentre molti fumettisti inglesi si basano maggiormente sulla letteratura del loro paese o europea in generale risultando forse più vari ed interessanti) non siano altrettanto famosi in Europa? Potrebbe essere un problema di lingua, ma allora come si spiega il successo di Moebius, Caza? E di Jodorowski in Italia o degli artisti italiani in Francia?

BT: In Italia le mie opere sono pubblicate da diversi anni, ma in Francia, ad esempio, è molto difficile che ti pubblichino qualcosa se non sei francese. C’è un vero e proprio sbarramento agli stranieri nel mondo dei fumetti (ed è strano, dato che i francesi sembrano preferire i film americani ai loro!). Dopo tutti questi anni, nonostante abbia conosciuto degli editori francesi alle conventions e abbia addirittura imparato a parlare francese, solo da poco hanno pubblicato, e per la prima volta, dei miei lavori: la Vertige ha pubblicato “La storia di un topo cattivo” e sono state ristampate alcune storie DC (“Mask” delle Legends e qualche episodio di Sandman).

Immagine articolo Fucine MuteLB: Hai sempre scelto di realizzare le tue opere al di fuori del circuito delle major, mentre lo stesso non si può dire di altri artisti inglesi, che hanno realizzato, ad esempio, “Watchmen”, “Dark Knight” o “Arkham Asylum” per la DC. La tua scelta era un modo per avere più controllo su ciò che creavi, senza il pericolo che s’intromettesse la censura?

BT: Lavorai alla DC per tre-quattro anni (oltre a collaborazioni sparse, in seguito). Ad eccezione di “Mask”, le storie che disegnai furono scritte da altri e la censura, in questo caso, non mi riguardava, anche se ricordo che la storia di Orfeo ebbe qualche problemino con la sequenza di Baccante: avevo disegnato una donna nuda aggrappata a un albero e l’editor, la dolce Alsia Quitney, riteneva che la donna si stesse masturbando, strusciandosi contro il tronco! Alla fine riuscii a convincerla che solo lei la pensava così. Inoltre, verso la fine, quella sequenza diventava molto sanguinolenta e Alisa decise di farla ricolorare con delle tonalità di blu perché non sembrasse troppo gore. Quest’episodio racchiude tutti i problemi che ho avuto con la censura all’epoca della DC. Con “La storia di un topo cattivo” e con “Heart of Empire” non ho avuto alcun genere di interferenze da parte dell’editor. Le uniche obiezioni che Randy Strandley ha sollevato mi hanno aiutato: ad esempio, avevo disegnato due pistole con dei silenziatori e Randy mi disse che non si può mettere un silenziatore a un revolver perché è diverso da un’automatica. Così ho dovuto ridisegnarle.

LB: Che ne pensi della querelle tra Siegel e la DC sui diritti di Superman?

BT: Sarà dura per loro, sebbene abbiano ceduto tutti i diritti (Bob Kane non lo fece con Batman). Non posso biasimarli però: come potevano sapere che Superman sarebbe diventato un fenomeno di massa? Bisogna ricordarsi che nacque come plagio di Doc Savage (di cui si diceva fosse “un superman”, c’era perfino la Fortezza della Solitudine) e se lo erano già visti rifiutare da dozzine di editori.

LB: Quali sono le principali differenze tra “Heart of Empire” e “Le avventure di Luther Arkwright”? Perché hai scelto di utilizzare la colorazione computerizzata per la tua ultima fatica? Pensi che il connubio tra fumetti e computer-grafica possa funzionare?

BT: Penso che “Le avventure di Luther Arkwright” sia un tipo di storia completamente differente da “Heart of Empire”, più coscientemente sperimentale, con (tanto per iniziare) una trama non lineare. è stata pensata come una sorta di puzzle-rompicapo mentale. Man mano che la storia progredisce, sempre più pezzi vanno al loro posto, fino a che il lettore assume una velocità sempre maggiore e viene spinto, urlante, verso il climax. Queste, in teoria, erano le intenzioni: stavo cercando di sperimentare un sacco di cose nuove. Ad esempio, c’è una pagina in cui cinque differenti fili conduttori s’intrecciano o, meglio, si giustappongono. E c’è un’altra sequenza in cui ho diluito 12 secondi in 72 tavole. Inoltre, anche lo stile grafico è differente: una miriade di tratteggi incrociati e di sfumature dei contorni, disegni in bianco e nero (per me, il fatto che “Heart of Empire” sia a colori è un qualcosa in più). Il bianco e nero non solo si adatta terribilmente alla storia, dandole un’atmosfera decadente, eppure ricca, ma fa anche in modo che sembri veramente avvenire “nel passato”, provocando lo stesso effetto di una fotografia color seppia (“Heart of Empire” avviene 23 anni dopo). Ed è stato anche grandioso lavorare con Angus McKie, probabilmente il miglior colorista al computer. è un perfezionista ed è sempre determinato a fare ciò che deve fare nel miglior modo possibile, lavorando tutto il tempo che serve, mentre la maggior parte dei coloristi lavorerebbe solo per un tempo prefissato, alcune ore su ogni pagina, non di più. Per ogni numero, mando ad Angus delle fotocopie delle chine, piene di appunti. Dopo che lui ha scelto i colori una prima volta, me le rispedisce via e-mail e poi passo ore al telefono assillandolo con domande del tipo “puoi mettere una dissolvenza qui?” o “Puoi cambiare quel colore lì?”. Solo più tardi, a volte, vado nel suo studio e passiamo altri due giorni assieme, ricontrollandole, raffinandole e perfezionandole. I computer non spariranno, quindi è meglio imparare ad usarli per bene. Quando avrò finito “Heart of Empire”, mi comprerò hardware e software nuovi e imparerò ad usare il computer seriamente. Certo, anche con i computer possono capitare delle sviste e mi è successo alcune volte di sbagliare file.

Immagine articolo Fucine MuteLB: è solo una mia opinione o non ti è piaciuto molto l’Annual di Sandman, la storia di Orfeo?

BT: No, no, mi è piaciuto… cos’è che te lo fa pensare? La storia di Augusto mi piaceva molto. Forse ti riferisci ai disegni, non andavano bene? I miei lavori alla DC (tranne “The Nazz” e “Mask”) sono sempre stati inchiostrati da altri. Neil mi diceva sempre che non dovevo lasciare le chine ad altri disegnatori, perché la persona che sapeva inchiostrare meglio i miei lavori ero io, e aveva ragione. Le matite di alcuni disegnatori possono essere inchiostrate semplicemente ricalcando i tratti, senza problema. Io, però, ho sempre usato le chine per ridefinire le matite, per correggere gli sbagli, per cambiare le ombre, molto spesso per ridisegnare la scena, proprio al momento dell’inchiostratura. Non sarebbe giusto aspettarsi che siano altre persone a farlo, a migliorare i tuoi disegni: gli inchiostratori devono fare ciò per cui vengono pagati, cioè rendere stampabili i tratti delle matite. Purtroppo, può capitare che un inchiostratore scarso peggiori i tuoi disegni: mi è successo, alcune volte in passato, di vedere i miei disegni inchiostrati in modo così grezzo da cambiare le espressioni sulle facce dei personaggi e da cambiare il mio stile.

LB: Qual è il tuo rapporto con gli altri mezzi di comunicazione? Esiste la possibilità di vedere sullo schermo qualcuno dei tuoi personaggi?

BT: Ci sono grosse possibilità. Di tanto in tanto, qualcuno mi dice che è interessato a comprare dei diritti, un agente porta i miei albi in giro per Hollywood o la Dark Horse mostra in giro un po’ di materiale e riceve un’offerta, ma finora non si è mai arrivati a nulla.

LB: Chester P. Hackenbush il tuo personaggio poi ripreso da Moore come C. Williams (ritengo che Windfall, mi pare in “Swamp Thing” n°43, fosse grandioso). Cosa sono per te le droghe?

BT: Non assumo droghe da un bel po’ di tempo, ma, anni e anni fa, mi piaceva l’oppio. Il fatto è che è voluminoso come la marijuana e fa una puzza della Madonna e quindi è difficile farlo entrare in Gran Bretagna. E difatti, non si trova. Comunque, la gran parte dell’oppio viene usata per farne dell’eroina, che è una droga da perdenti. Negli anni ‘70, 20-30 tra amici e conoscenze, iniziarono a farsi di droghe pesanti, invece che fumare occasionalmente o farsi un acido o una striscia di coca, di tanto in tanto, come facevano tutti gli altri. Entro 10 anni erano tutti morti. TUTTI.

LB: Dopo tutto ciò che è successo in Europa, scriveresti ancora su un muro “La tigre dell’ira è più saggia” (e così finiamo citando Yeats, che fa tanto cultura)?

BT: Be’, non sono stato io a scriverlo, è stato un mio personaggio. E non è Yeats, è William Blake, che ha influenzato molto il ciclo di storie di Luther Arkwright.

LB: Grazie per la pazienza

BT: No, grazie per il tuo interesse.