Ci vorrebbero un inventiva ed un’immaginazione kirbiana per definire Jack Kirby un grande scrittore di dialoghi. Minacciosi rantolii e stentorei quanto altisonanti monologhi certamente appartenevano di più al suo registro. Il Re era assai più capace nel verbalizzare la rabbia e la furia che di realizzare delicati e introspettivi dialoghi psicologici. Ammettiamolo, l’abilità di Kirby come narratore è migliorata nel tempo, ma il suo talento come scrittore di dialoghi ha spesso lasciato a desiderare. Questo è il fulcro del problema nell’affrontare l’adattamento kirbiano dell’opera di Kubrick. La sceneggiatura, il libro e il film possedevano (tutti e tre) una raffinatezza ed una sottigliezza che non ritroviamo nelle stupefacenti settantadue tavole di Kirby. Il dialogo straordinariamente quotidiano che ritroviamo nel testo di Arthur C. Clarke e nella sceneggiatura del film di Kubrick è ridotto, nel fumetto, ad un battuta-e-risposta quasi ingenuo nella sua semplicità e secchezza. HAL, curiosamente il personaggio più interessante ed umano tra tutti i caratteri di “2001”, viene trasformato da una macchina senziente, che porta il peso d’un omicidio commesso per nascondere la vergogna (estremamente umana) della menzogna, in un maniaco assassino il cui unico scopo è quello di eliminare tutto l’equipaggio umano dell’astronave. C’è un importante rilievo da evidenziare che ci rivela la visione morale dell’autore; Kirby, infatti, è talmente preso ed attaccato alla Science-Fiction — o meglio alla cosiddetta SuperScience — da essere più preoccupato della correttezza delle aspirazioni verso la fantascienza piuttosto che d’essere interessato alle promesse futuribili della tecnologia.

Nella sua visione, quasi in bianco e nero, nessuna macchina avrebbe mai potuto rimpiazzare l’indomabile forza d’animo dell’uomo cosicché alle macchine e ai vari apparecchi, come il buon Hal 9000, rimane solo il ruolo del cattivo. Dove Clarke usa l’ironia e la quotidianità dei comportamenti dei suoi personaggi in carne ed ossa per sottolineare l’importanza e la straordinarietà del “Primo Contatto” con altre forme di vita, Kirby mette in essere il conflitto manicheistico tra Bene e Male, tra uomo e macchina, quasi rendendo la figura di HAL (almeno nella sua versione) ininfluente ai fini della storia, narrativamente di basso profilo. Tuttavia, come abbiamo già detto, il Re non è mai stato conosciuto per la sottigliezza e l’introspezione psicologica delle sue trame, anche se i suoi stupefacenti disegni ci ripagano sempre per questa sua mancanza (ricordiamo che gran parte del testo del fumetto era appiattito dal testo di Clarke).
Il formato delle tavole, 10″ per 131/2″ (per chi, come me, ha memoria dell’era dei fumetti “Corno”, è il formato gigante con il quale vennero realizzati alcuni tra i più strabilianti titoli del marchio, come, ad esempio, “Superman contro Cassius Clay” — n.d.t. ), ci mostra un esempio della straordinaria arte kirbiana, specialmente nella sua versione dello Stargate (con cinque stupefacenti splash-page di straordinaria potenza ed azione). Le chine di Frank Giacoia sono cosi presenti e fedeli come mai si era visto in un lavoro di Kirby, e lo stesso può essere detto per quanto riguarda l’inchiostratore delle copertine, Dan Adkins.
È degno di nota pure l’eccezionale uso delle tinte, da parte di Marie Severin e dello stesso Kirby, nella colorazione dell’albo. Ricordiamo soprattutto i toni spenti del giallo e del grigio, usati nella sequenza finale della scena nella stanza d’albergo.

Quattro pagine di collage fotografico, poi, impallidiscono di fronte alla disarmante forza dei suoi disegni, soffrendo della cronica debolezza riscontrata in tutti i casi nei quali il Re usava questa tecnica — ovvero la cattiva qualità della riproduzione. Jack Kirby raramente ha lavorato su personaggi creati da altri autori e solitamente, quando ciò è successo, questa sua riluttanza si è manifestata in pieno. Si tratti di Deadman, o di Superman, o anche di Spider-Man, che sono tutti personaggi non creati da lui e comunque mai adattati con troppo entusiasmo. La presenza — non troppo discreta — della mano temuta dell’editor (figura odiatissima da tutti gli autori americani, e paragonabile ad un capo-redattore), una iattura ricorrente nel lavoro del nostro, si nota qua e là nelle pagine di questo adattamento, lasciandoci con il sentore d’una certa fretta dell’artista per completare questa sua opera.
Comunque, le sue eccezionali visioni dello spazio, l’imponenza di certe inquadrature del monolito e le spash-page del suolo lunare all’apparire della razza umana, rimangono come capisaldi della sua arte narrativa, caratterizzando pure la qualità della seguente serie regolare; una serie tratta, a dir la verità, molto liberamente dal capolavoro kubrickiano. Non aspettatevi, insomma, di trovare risposte all’enigmatica pellicola del regista americano nella versione di Jack, ma se pure considerate questo lavoro l’ultimo e forse il meno riuscito degli adattamenti tratti dal libro di Clarke, potrete d’altro canto trovare in questo fumetto un Kirby in perfetta forma nel tratteggiare, con il suo stile maestoso e impareggiabile, l’esplorazione dello spazio infinito e del suo oltre.