“Mononoke Hime” è l’ultimo capolavoro di un maestro del cinema d’animazione giapponese: Hayao Miyazaki. Ai più questo nome non dice nulla, ma non c’è giapponese che non sgrani gli occhi quando si pronuncia uno dei titoli di questo regista che, con Isao Takahata, nel 1985 ha fondato quello Studio Ghibli dal quale sono uscite le migliori produzioni animate giapponesi. In Italia abbiamo potuto vedere alcuni prodotti di questi due maestri, come “Heidi”, “Conan, il ragazzo del futuro” e una versione di “Sherlock Holmes” con i protagonisti che hanno la fisionomia di cani. Queste sono tutte serie televisive a episodi, e sono solo una parte dei prodotti di Miyazaki &Co. Lo studio di produzione Ghibli, infatti, vanta una dozzina di lungometraggi ancora inediti in Italia. Ambientato nel Giappone medievale del periodo Muromachi (1333-1568) “Mononoke Hime”, o “principessa Mononoke”, come dovrebbe essere tradotto in Italia, descrive un momento difficile della storia di un mondo che vede in guerra dei e uomini in un periodo di svolta che, come sempre accade, risulta essere estremamente doloroso. La vicenda comincia con Ashitaka, un ragazzo destinato ad essere capo del villaggio, che per salvare dei ragazzini è costretto ad uccidere un dio agonizzante che si è tramutato in un mostro. La rappresentazione degli dei è in linea con il pensiero Scintoista: ci sono più divinità che appartengono a diverse stirpi e hanno obiettivi differenti.

mag-4.jpg (5903 byte)Il dio che viene ammazzato da Ashitaka ha la forma di un gigantesco cinghiale e, dopo essere stato ferito a morte, viene posseduto da forze malvagie trasformandosi in un vero e proprio mostro multiforme. Mentre Ashitaka lotta con il mostro viene ferito ad un braccio e per questa ferita viene maledetto dalla divinità. Il giovane è condannato a morire lentamente corroso dalla maledizione del dio. L’unico modo per essere utile al villaggio diventa il partire verso la foresta da dove proveniva il cinghiale, capire cosa stia succedendo in quelle terre e agire in modo da risolvere la situazione. Così comincia il viaggio del ragazzo verso la grande foresta. Gli uomini vogliono avere il controllo della zona per estrarre i minerali e costruire armi; gli dei, invece vogliono proteggere la natura ed eliminare gli uomini che li stanno soggiogando e addomesticando sempre più. Ashitaka si ritrova a voler capire le ragioni delle varie fazioni attirandosi così le perplessità di tutti; vivrà nel villaggio della signora Eboshi, dove uomini e donne vivono in pace, lavorano e lottano per mantenere la loro autonomia sia rispetto agli eserciti stranieri, sia rispetto alla natura. All’interno del villaggio Ashitaka conoscerà altri appestati come lui e verrà a sapere che un modo di salvarsi da morte certa è usare il sangue di Shishigami. Shishigami è il dio principale della foresta, il simbolo della vita, colui che può decidere la sorte di chiunque, che può assumere più forme ed è cacciato dagli uomini e protetto dalla stirpe dei Moro. A capo di questa stirpe c’è una divinità dalla forma di lupo bianco con due code; al suo seguito ci sono due lupi e una ragazza, di nome San, abbandonata dagli umani e allevata dagli animali.

Ashitaka è l’unico che vede le vicende con un’ottica obiettiva, è il punto di congiunzione tra uomini e natura, essendo colui che non è né dio né uomo. Il ragazzo è allontanato dagli uomini perché maledetto, ma è mal visto pure dagli dei perché è comunque un essere umano. Sarà proprio lui, destinato a morire, a cercare di salvare la foresta dalla distruzione.
“Mononoke Hime” è uscito nelle sale giapponesi nell’estate del 1997, preceduto da una campagna pubblicitaria degna di un blockbuster hollywoodiano, e ha incassato oltre ogni aspettativa. Quando cominciarono a circolare i trailer c’erano molti dubbi su questa produzione perché per la prima volta nella storia dello Studio Ghibli la violenza non veniva nascosta, ma anzi era descritta con tutto il sangue necessario. Miyazaki era famoso in tutto il mondo per i film per famiglie, e le malelingue sostengono che in “Mononoke Hime” abbia dato sfogo alla voglia di raccontare battaglie cruente. Effettivamente l’ultimo film di Miyazaki è mirato ad un pubblico più adulto degli altri, malgrado tutti siano godibilissimi a qualsiasi età. Il grande pregio dei prodotti Ghibli è sempre stato l’azione frenetica al limite dell’immaginabile unita alla dolcezza del gesto quotidiano e della nobiltà d’animo, senza le retoriche sottolineature del valore dei protagonisti pur amatissimi dal pubblico.

Immagine articolo Fucine MuteNon ci sono distinzioni nette tra personaggi buoni e cattivi, ma le varie fazioni sono divise in gruppi e sottogruppi che con le loro ragioni combattono per raggiungere scopi non comuni e a volte contrastanti. La signora Eboshi in “Mononoke Hime” vuole la testa di Shishigami per guarire gli appestati, per salvare gli uomini; quindi la stirpe dei Moro, proteggendolo condanna a morte questi sciagurati. È quindi molto difficile che lo spettatore sostenga incondizionatamente una fazione, e l’intreccio di interessi e sentimenti è così intricato che ci si appassiona alle vicende e si è condotti al finale dopo un precipitare di eventi che vede contemporaneamente contrapporsi tutti i contendenti. Nella foresta ci sono circa sei gruppi che interagiscono, tutti sono caratterizzati benissimo e lo spettatore li conosce in maniera naturale e veloce.
L’aspetto grafico è un altro dei cavalli di battaglia di questa pellicola.

I personaggi sono disegnati secondo lo stile dello Studio Ghibli tanto che in un primo momento sembra che San sia un clone di Nausicaä (la protagonista di un film d’animazione del 1984, trasmesso una volta anche in Italia dalla RAI), ma subito ci si rende conto di come queste eroine siano diverse nello spirito e nel modo di agire. Per chi è affezionato alle serie di Miyazaki è senz’altro un piacere ritrovare alcuni cliché consolidati come gli animali giganti, o le mitiche corse sui prati; chi non ha mai visto queste produzioni rimarrà colpito da questo mondo affascinante. Il tratto è estremamente pulito e particolareggiato, i colori sono molto accesi e lucenti, gli sfondi sono curati in maniera maniacale e le prospettive studiate al computer. Solo da poco la computer grafica è stata introdotta nella realizzazione dei film d’animazione giapponesi, in “Mononoke Hime” infatti, per la prima volta nella storia dello studio Ghibli, le sequenze con movimenti in tre dimensioni sono realizzate al computer, e l’effetto è mozzafiato. La tecnica con cui vengono animati i disegni è una peculiarità delle opere di Miyazaki, tanto che viene definita “animazione alla Miyazaki”, riconoscibile per la notevole fluidità. Le idee comunque non mancano, basti pensare ai folletti che vivono nella foresta e che sono in numero maggiore tanto più a questi si avvicina Shishigami. I folletti sono solo spettatori della guerra in corso, ma rendono molto bene l’idea di un mondo naturale vivissimo, un regno di esseri al confine tra spiritelli e gnomi, simpaticissimi e teneri.

La musica è un altro dei pezzi forti di questo film; le canzoni e i temi musicali riescono a sottolineare degnamente quello che c’è in video, rendendo il tutto particolarmente suggestivo ed emozionante.
Sono molte le case distributrici che hanno cercato di portare in occidente le opere di questo gruppo di animatori, ma Miyazaki ha sempre preteso solide garanzie sulla fedeltà dell’adattamento dei suoi film. Non è raro che una major americana acquisti un prodotto straniero e lo adatti stravolgendolo basti pensare a come è stato trattato “La Freccia Azzurra” di Enzo d’Alò che oltreoceano ha visto declassare la Befana a vecchia aiutante di Babbo Natale mentre le musiche di Paolo Conte sono state addirittura eliminate. La pellicola è stata adattata in modo che nulla potesse sembrare strano ai bimbi americani, un adattamento omologatore alla Mc Donald’s, e se “la freccia azzurra” conteneva tutte le spiegazioni sugli usi e costumi esclusivi dell’Italia, che futuro potevano avere i film di Miyazaki così pregni di elementi giapponesi? Il mercato del Sol Levante riesce a coprire i costi di questi prodotti, quindi lo Studio Ghibli non ha bisogno di venderli all’estero e può permettersi di esigere che neppure i testi delle canzoni vengano cambiati. Tre anni fa la Disney, sotto l’etichetta Miramax, riuscì a stringere un accordo di distribuzione esclusiva con la Tokuma, la casa produttrice sotto cui lavora lo Studio Ghibli. La Disney si dichiarò interessata a quei lungometraggi perché erano di alta qualità e rispecchiavano in pieno la filosofia e il tipo di intrattenimento che la major americana realizza da decenni. I rivali del topolino più celebre della terra dicono invece che la Disney temeva moltissimo lo sbarco e la concorrenza dei giapponesi e che ha preferito assorbirli piuttosto che averli come avversari. Comunque, il fatto che sarà la Miramax a occuparsi di “Mononoke Hime” fa ben sperare sulla cura del doppiaggio e della distribuzione, vista anche l’attenzione con la quale il tutto sarà supervisionato personalmente da Miyazaki. L’uscita nelle sale americane è prevista per questa estate, mentre in Italia dovrebbe arrivare nell’inverno del 1999. Lo Studio Ghibli comunque non vuole smettere di stupire: subito dopo che la Disney ha esaltato le sue produzioni come esempio di intrattenimento per bimbi, ha realizzato “Mononoke Hime” che in America sarà vietato ai minori di 13 anni non accompagnati dai genitori. Ora che tutti conoscono la sua cura per l’aspetto grafico ha annunciato l’uscita per l’estate 1999 di “Ho hokekyo-Tonari no Yamada kun”, per la regia di Isao Takahata. Questa pellicola è la trasposizione animata di una striscia che da anni è pubblicata nei quotidiani e che ironizza sulle abitudini delle famiglie giapponesi, una specie di Simpson del Sol Levante. È sbalorditivo come i disegni siano diversi da “Mononoke Hime”, tanto che alcuni prevedono un fallimento:tuttavia la fede in Studio Ghibli rimane intatta.