ORA BISOGNA
bisogna
rinunciare all’essere pantano d’illusione — dare forza
al pugno stretto del compagno — ora — spalancando gli
occhi / non ridere del braccio estenuato della mano
che rovista calce — se avanza il popolo avanzo anch’io
– ed il partito è il mondo
disincagliato dalle
ossa del polipo dall’occulto della
chiarezza degli slogans (così servire all’essere
servendo
me in una
perifrasi d’idee mortificanti) — e dare i calci al padre
alla madre all’
utero — rompere le gabbie del mistero calcolato — fare
dinastie di secoli divellere
alberi di banconote (basta con le chiacchere
dei coccodrilli e rendere
coscienza alla coscienza) — il divenire
è fiaccola il movimento audacia e non è detto che si
smorzi l’alba in questo
incedere per vie d’intolleranza — ora — dove
i miei morti chiedono pietà dei mesi
degli anni della vita della morte (chi li conosce sa
che furono nel mondo per il mondo) — apprendere da
loro
che coraggio
è andare a testa alta nella melma e dire che la melma
è melma — ora — (se abito nel cielo
dell’assurdo voglio
che l’assurdo sia
il cielo del mio popolo) — concertare insieme il mio
bisogno
di sostenere il mondo senza mani di letame — così
vedrà la luce anche il bambino e non
il vorticare d’ansia o procacciarsi pane sorridendo
al mostro (non si chiede che
la libertà delle coscienze libere — e tutto è chiaro
se
si dissolve il calmo andare della mente alla rinfusa
tra ghirigori di cenere o martelli o spine)
– così la vita è desco per chiunque abbia
fame di guardare in faccia all’altro senza
vergognarsi del vestito unto
da LA FINESTRA SI APRE
ti chiedo, oggi, la carezza di un delirio
tanto umano da far fuggire gli sciacalli:
estrai dal canestro il possibile
da lanciare contro l’impossibile
così che il giardino germogli sempreverdi
e la mensa profumi di calore
perché questa è una notte tanto assurda
da far delirare i gufi se guardassero
le pietre trascinate a valle
dall’uomo che dell’uomo soffre la pazzia
e ti richiamo quell’accordo di cicale
nel prato genuflesso ai paradisi
spalancati dalle mani acerbe
nei mattini senza tempo e senza soste
quando potevi dirti “sono”
anche in mezzo all’uragano
PRELUDIO
Conosco un mondo dove sorridono gli
uomini al giorno impugnando storia
e lavoro Anche se ho incontrato scheletri
e cannibali e fatto gimkane nei
tunnels dal cuore al cervello e dei crisantemi
ancora assorbo il brusio di vita ghignante alla morte
E pranzando
quotianamente con le biscie ho
ascoltato fischiare su note antiche
una canzone nuova La parola-proiettile deve
colpire bersagli fino all’ultima svolta
Quando la ferita si spalanca e la
poesia riemerge infine come
umanità rinata
Già oggi si comincia:
domani il bimbo appena nato
vedrà l’uomo farsi strada viva sul
passato Anche i miei versi all’opera Ed
io sono l’essere preistorico che
spinge il vento e, coi compagni,
riaccende il fuoco.