Da una panoramica sulla produzione cinematografica serba e su quella croata degli ultimi anni si possono trarre interessanti considerazioni sulle due società che le esprimono e sulla situazione politica e culturale dopo il conflitto balcanico. Diversi film saranno qui esaminati allo scopo di verificare l’immagine che il cinema di ciascuna nazione dà (o vuole dare) del nuovo assetto sociale nonché l’influenza che tale immagine può avere sull’immaginario collettivo nazionale ed internazionale. La scelta delle opere verrà effettuata tenendo in considerazione il successo di pubblico da esse riscosso, i riconoscimenti ottenuti, l’attenzione riservata dalla stampa locale e i temi trattati.
Si inizierà con il cinema serbo. La nostra attenzione si soffermerà sui lungometraggi Ubistvo s predumisljanjem (Assassinio con premeditazione) e Lepa sela lepo gore (Bei villaggi bruciano bene) del ’95 e Do koske (Fino all’osso) del ’96, e sui cortometraggi Moja domovina (Il mio paese) e Poludeli ljudi (Gente impazzita) del ’97.
Ubistvo s predumisljanjem di Goran Stojanovic’, vincitore del primo premio al Festival Alpe Adria del ’97, oltre ad avere un notevole valore di carattere estetico, ha il pregio di dare un quadro storico lucido e penetrante della società serba durante l’ultimo conflitto balcanico. Viene rappresentata la tragica storia d’amore di due giovani, la studentessa Buika e il soldato Bogdan, i quali si fanno simbolo della spaccatura del mondo civile serbo negli anni della guerra in due “anime”: l’una, impersonata da Buika, la Serbia culturalmente vivace e pacifica, degli intellettuali polemici, degli studenti ribelli, della gente laboriosa; l’altra, impersonata da Bogdan, la Serbia arcaica, con i suoi miti e antichi valori, con la sua sete di vendetta e il suo morboso ed assurdo eroismo. Buika non ce la fa a convincere Bogdan a non ripartire al fronte come volontario: egli vuole vendicare la famiglia uccisa dai croati e difendere la sua patria. Pian piano crescerà in lui la consapevolezza dell’assurdità del suo fanatismo, ma neppure tale consapevolezza riuscirà a sottrarlo al suo destino: morirà sul campo di battaglia. Attraverso numerosi flashback ci viene presentata la terribile storia della nonna aristocratica di Buika, che denuncia la presenza della dicotomia tra una Serbia moderna e borghese ed una arcaica sul finire del secondo conflitto mondiale.
Segnato da uno sfrenato sperimentalismo stilistico-linguistico, da un’eccezionale densità di contenuti e da una notevole forza polemica é Lepa sela lepo gore di Srdjan Dragojevic’. Il lungometraggio ci presenta la storia — ispirata a un fatto realmente accaduto — di un gruppo di sanguinari combattenti serbi costretti durante l’ultima guerra balcanica a rifugiarsi, per sfuggire ai musulmani, in un tunnel che Tito fece scavare come simbolo della tanto predicata “unità e fratellanza”. Come afferma il sociologo Srdjan Stankovic’, l’opera di Dragojevic’ “non vuole compromessi. Non accetta né l’immagine locale e popolare dei serbi come difensori della loro patria, né la generalizzata immagine internazionale dei musulmani come uniche vittime, né, infine, l’immagine che deriva dai reclami ufficiali della Serbia che afferma di non aver partecipato al conflitto”. (1) È un film polemico e coraggioso, espressione della forza critica e dissacratoria di un intellettuale, il regista, libero da pregiudizi e convinzioni faziose.
Do koske di Bogdan Skerlic’ ci presenta un quadro sconcertante della società serba odierna piagata dalla criminalità e dalle lotte tra bande rivali. Nonostrante certe esagerazioni di carattere stilistico (la violenza é esasperata, come in Lepa sela lepo gore, da un montaggio dal ritmo incalzante che unisce spesso brevissime inquadrature sature di sangue e cadaveri), questa denuncia di un problema realmente esistente ci stupisce per il suo coraggio e la notevole autenticità.
Il cortometraggio Moja domovina di Milos Radovic’ (vincitore di un premio minore al Festival Alpe Adria ’98) muove un’affascinante critica alla propria società, che sembra poggiare più su un piano filosofico che storico: la contemporanea presenza di vecchio, di arcaico (la locomotiva a vapore; il capostazione con l’orologio da tasca, la vecchia motocicletta e il carro trainato da un asino) e di nuovo (l’automobile sportiva superaccessoriata e il suo ricco proprietario) produce uno scontro violento con esiti assurdi: l’asino mangia la paglia della sella della motocicletta; il suo proprietario e il carrettiere vengono alle mani; un pastore lega la sua pecora alla sbarra del passaggio a livello che verrà subito alzata dal capostazione al passare del treno; il ricco proprietario dell’auto ultramoderna estrae la pistola e spara alla corda che sorregge la pecora strangolata; prende l’animale, lo getta nell’automobile e parte a gran velocità. È un’acuta e suggestiva rappresentazione in forma allegorica di un disagio realmente esistente.
Nel documentario Poludeli ljudi Goran Markovic’ e i ragazzi del suo staff, che giravano per Belgrado armati di cinecamera durante la lunga manifestazione cittadina che seguì ai brogli elettorali del novembre ’96, ci mostrano il coraggio dei belgradesi in corteo, la loro festosa e pacifica ribellione, la polizia che picchia i manifestanti e le loro stesse ferite riportate durante la registrazione.
Questa seppur breve panoramica ci permette di capire che in Serbia, nonostante la dura repressione anche culturale operata dal potere, vi é una notevole presenza di intellettuali slegati e in polemica con esso, capaci di creare opere fedeli alla realtà storica e sociale, fortemente acute nel penetrarla e valide anche sotto l’aspetto estetico. Il potere pertanto, nonostante il suo carattere autoritario e antidemocratico, non sembra riescire nell’intento di soffocare un fermento culturale indipendente di forte vivacità e notevole consistenza, che riesce a operare anche nel campo del cinema, attività che necessita pure di un non indifferente sostegno economico.
Passiamo ora ad analizzare la situazione presente in Croazia. Questi i film che prenderemo in considerazione: Cijena zivota (Il prezzo della vita) del ’94; Sedma kronika (La settima cronaca)del ’96;Isprani (Gli slavati) del ’95; Dijed i baka se rastaju (Il nonno e la nonna stanno per divorziare); Mondo Bobo del ’97.
Ambientato in Serbia nel tempo dell’ultima guerra, Cijena zivota rappresenta la storia di un croato che fugge dal campo di concentramento serbo nel quale é rinchiuso. Il film é pieno di luoghi comuni: i serbi che credono di essere il miglior popolo del mondo, i croati vittime senza colpa, i serbi mal informati dai propri media, i croati… Questa è certamente un’ opera segnata da un forte manicheismo ideologico, costruita per opposizioni, votata alla causa croata. Cijena zivota, nonostante la sua mediocrità da un punto di vista estetico, esercita una forte pressione sulla psiche dello spettatore il quale, anche se non fa completamente sue tali idee certamente faziose, subisce comunque dalla visione quella notevole influenza emotiva che determina non poca confusione.
Analoghe osservazioni si possono muovere per Sedma kronika di Bruno Gamulin. Vengono qui denunciate le ingiustizie perpetrate dal regime di Tito ai propri dissidenti politici sull’isola di Goli Otok. Dalle vicende di un fuggiasco soccorso dalle suore di un convento emergerà un’esasperata mitizzazione del clero. Altrettanto evidente é il carattere fazioso di questa pellicola che si isola nel passato, la cui denuncia dei mali causati da un sistema politico che si vuole definitivamente abbandonare (il pericolo di eventuali nostalgici é sempre presente) non viene certo svolta in maniera tale da servire quale aiuto contro i problemi del presente e mezzo per rendere davvero matura una nuova nazione.
Isprani di Zrinko Ogresta, vincitore del primo festival del cinema croato tenutosi all’arena di Pola, rappresenta le vicende private di individui socialmente degradati che vivono nelle tentacolari periferie di Zagabria. Qui la tematica é dichiaratamente sociale. La storia é quella della studentessa Jagoda e del suo ragazzo che cerca un appartamento da condividere con lei. La precarietà economica e il grigiore della metropoli insidiano le loro vite e il loro amore. Jagoda alla fine preferirà lasciare il fidanzato dicendogli di amare un altro piuttosto che continuare a volergli bene trascurando i genitori malati e il fratello alcolizzato. I personaggi “desiderano dei cambiamenti, ma non vogliono cambiare da soli e, piuttosto che permettere che le loro emozioni arrivino a un livello tale da portarli alla rivoluzione, preferiscono soffocare la loro passione. Tutto si risolverà nei bicchieri delle bevande alcoliche, negli amori irrealizzati, nell’attesa della domenica e nel sollievo dell’hobby della pesca”(2) L’opera si limita alla denuncia della miseria che opprime gran parte della società croata, senza essere un invito alla rivolta. Alla fine di ogni vicenda prevale anzi la rassegnazione e l’abulia, che costituiscono un implicito suggerimento a conservare l’ordine sociale esistente.
Dijed i baka se rastaju di Vladimir Ilijc’ rappresenta la storia di una coppia di anziani che vive in campagna e non vede da lungo tempo i figli i quali, presi dagli impegni lavorativi, non hanno il tempo di andare a trovarli. I due fingeranno di separarsi, così il figlio e la figlia, preoccupati di salvare il matrimonio, il fine settimana con i rispettivi familiari lasciano Zagabria e corrono in campagna dai genitori. Qui emergeranno i problemi delle due giovani coppie, e nella casa dei genitori i quattro consorti ne parleranno. I vecchietti si lasciano convincere a rimandare di qualche mese la data della separazione e i figli tornano a Zagabria.
Ci viene presentato un vasto affresco sociale: uno dei due figli é economicamente agiato; l’altra figlia, sposata con un uomo che ha poca voglia di lavorare, ha difficoltà nel mantenere la propria famiglia; il nonno é un artigiano. Vi sono anche sequenze dedicate agli operai in sciopero e ad un vecchio sfrattato che impreca contro il capitalismo e invoca l’arrivo di “Robin Hood”. Nel villaggio degli anziani protagonisti vive un giovane reduce di guerra psichicamente turbato che spara in aria raffiche di mitra. Nel complesso ciò che emerge é il desiderio di normalizzazione di una parte della società che vuole chiudere con la guerra e i suoi problemi (emblematico é l’atto del nonno che spegne il televisore con il telegiornale per discutere di sé coi figli) e guardarsi all’interno per prendere coscienza dei propri ruoli e muovere verso lo sviluppo. La strada del capitalismo (coi problemi culturali e non che essa comporta: coppie separate, disoccupazione, ecc.) é sostanzialmente accettata ed eventuali problemi sociali (simbolica qui la figura del vecchio sfrattato) verranno risolti con interventi di carattere riformistico (Robin Hood…) e non rivoluzionario.
Mondo Bobo di Goran Rusinovic’ (vincitore nel ’97 del festival del cinema croato) ci porta nell’alienazione e nell’anomia delle moderne metropoli. Ambientato a Zagabria, rappresenta la storia dell’arresto e della tentata fuga dal manicomio criminale di un giovane psichicamente turbato ingiustamente accusato di omicidio. Veniamo trascinati in un mondo di caos e grigiore dove vivono relitti umani oppressi dalle loro nevrosi e da ogni sorta di precarietà. Si tratta di un quadro non certo naturalistico ma suggestivamente idealizzato nella direzione del più cupo pessimismo che ci invita a riflettere su inquietanti problemi — realmente esistenti — della società consumistico-capitalistica quali la sua miseria culturale e l’alienazione.
La panoramica sul cinema croato oltre ad offrirci opere di più mediocre valore estetico ci sottolinea l’esistenza di un gruppo intellettuale poco capace (fatta eccezione per pochi casi) di analizzare acutamente il proprio tempo e i suoi problemi e di darne una chiara ed efficace sintesi. Il quadro sociale offertoci dai film é nel complesso superficiale ed incompleto, e senza dubbio di parte (di quella parte che detiene il potere). Sembrerebbe quasi che i registi croati siano principalmente succubi del potere e siano assai poco audaci nella loro capacità polemica . Forse il carattere ambiguamente democratico del governo croato offusca le capacità critiche degli intellettuali che preferiscono mantenersi su posizioni del tutto conservatrici; pare nel contempo che il potere rimanga capace di non far mai traboccare il vaso del consenso intellettuale. Paradossalmente in Serbia, dove il regime senza dubbio non può neppure lontanamente apparire come democratico, fermenta una cultura di contestazione ricca e vivace: qui l’evidente autoritarismo dello stato determina negli intellettuali una superiore presa di coscienza che li conduce alla ribellione e, talvolta, alla rivolta.