kustur.jpg (4894 byte)Cristina D’Osualdo (CD): Cos’è che l’ha riportata dietro la macchina da presa?

Emir Kusturica (EK): La noia.

CD: Molti sono rimasti sorpresi, quasi delusi dal film. Si chiedono come abbia potuto girare un film così lontano dalla realtà dei Balcani?

EK: Non hanno visto “Underground”

CD: Come nasce il film?

EK: Seguivo un gruppo di gitani che celebrava un matrimonio, a Novi Sad; il nonno di una delle due famiglie era morto poco prima della cerimonia. E più o meno come succede nel film, il matrimonio si è celebrato comunque, attorno al cadavere.
Questa è dunque una situazione reale che si è arricchita di altre suggestioni e idee. Ho quindi chiesto a Gordan Mihic (sceneggiatore del “Il tempo dei gitani”, nda) di scrivere la sceneggiatura: che è diventata la storia di nonni, padri, figli e dei loro amori. Ma non è un film scritto. Le mie sceneggiature sono solo canovacci, una materia viva in continua elaborazione. Io non faccio film “industriali”. Per cui lavoro su delle tracce, su una parte originale che poi si arricchisce durante la lavorazione.

CD: Questo è il suo secondo film sugli zingari…

EK: Gli zingari rappresentano la vita alternativa, ci dicono che tutto sarebbe potuto andare in maniera diversa.

CD: Il film è parlato in diversi dialetti gitani: uscirà ovunque con i sottotitoli?

EK: Si, sarà ovunque un film straniero. Uno dei personaggi porta un ciondolo con il simbolo delle tre religioni monoteiste. Ovviamente non è una cosa balcanica. È un ciondolo che porta sempre Jerry Lewis…

CD: Il suo cinema è attraversato da un certo misticismo, da un forte senso del magico…

EK: Da una dimensione non necessariamente razionale dell’esistenza, legata in questo caso alla ‘magia degli sguardi’… dei gatti!
Un docente all’ accademia insisteva nel dire che dovevamo rendere leggere le situazioni reali. Rendere leggera, per esempio, la camminata dell’attore. Io ho preso questa lezione alla lettera e ho insegnato agli attori ad alzarsi da terra.

CD: Gli attori (a parte due) sono non professionisti…

EK: Ho fatto il cast tra 3.500 zingari. I protagonisti li ho scelti non per il loro talento recitativo, per i loro volti e i loro corpi più vicini ai protagonisti dei fumetti… Il lavoro con gli attori è molto importante, bisogna ottenere il meglio da loro: è dall’attore che nasce l’energia del film, alla fine delle riprese i miei attori sono sempre completamente esausti.

CD: Il film ha la “carica distruttiva” del cinema dei Fratelli Marx.

EK: Il mio cinema si trova tra Shakespeare e i Fratelli Marx.

CD: E dove si colloca Alan Ford (è il fumetto che legge uno dei protagonisti, a cui sono ispirati alcuni personaggi)?

EK: Viene subito dopo, anche se il mio preferito è Corto Maltese. Mi piacciono i fumetti, perché amo la dimensione infantile del gioco che vi ritrovo.Oltre a Number One, una delle cose buffe del film è il maiale che si mangia la carcassa di una macchina.
Io ho delle ossessioni visive molto forti. Ricordo che una volta al liceo un vecchio diceva: “non parcheggiare la macchina lì, te la mangiano i maiali”. Non so se sia possibile, ma ho sempre desiderato mettere questa immagine in un mio film.

CD: Lei hai lavorato in America: come è stata quell’esperienza?

EK: Ho molti amici in America, mi piace il cielo della California. Forse lavorerò ancora in America, ma non andrò mai a viverci. In America c’è un rapporto militante con il denaro, che è decisamente soffocante.

CD: Che rapporto ha con il suo paese di origine?

EK: Io sono Jugoslavo e parlo serbo. Credo che la Jugoslavia sia un concetto culturale che continua. Il paese è esploso, come ho raccontato in “Underground”. Personalmente vivo sul quel pezzo di terra che si è staccato nel finale di “Underground”, e amo navigare.

(pubblicato in sloveno su
Primorskj Novice, ottobre 1998)